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Amicizia e antagonismo

Nel mondo dello sport, nella misura in cui gli antagonisti contrapposti nella competizione variano, assistiamo a una varietà di dinamiche di interazione assai differenti: agli opposti estremi si parte da un’assoluta reciproca antipatia, fino a raggiungere l’omologo opposto in cui gli atleti si scambiano rispetto e reciproca ammirazione. Continue reading

Alex Zanardi Medaglia d’Oro

Alle Paralimpiadi di Londra, alla soglia di 46 anni, Alex Zanardi conquista la medaglia d’oro con la sua handbike sul circuito di Brans Hatch dove ottenne la sua prima pole in Formula 3000 nel 1991. Continue reading

Lunga vita al Re !

Lo giuro, quando sono uscito dalla sala cinematografica ho pensato: “questo vince di sicuro l’Oscar”…  e non ci voleva certo un critico del settore per capire che il Film “Il discorso de Re” aveva tutte le carte in regola per conquistare il più celebre premio hollywoodiano.

La storia è quella del neo-monarca Giorgio VI e della sua balbuzie, patologia alquanto imbarazzante per un personaggio pubblico come l’Imperatore del Regno Unito, chiamato a comunicare al suo popolo l’ingresso in guerra con la Germania di Hitler.

È un’affascinante percorso attraverso la crescente autodeterminazione a superare i propri limiti per amore del popolo e di quel trono che rappresentava il sacro e inalienabile punto di riferimento dell’orgoglio nazionale. Colin Firth, interpreta magistralmente la lotta tra le proprie frustrazioni e il prepotente desiderio di affrontarle e sconfiggerle, anche accettando con umiltà e fiducia l’aiuto di un altrettanto magistrale logopedista (Geoffrey Rush) dai metodi pragmatici quanto innovativi.  La pellicola regala grandi momenti d’ironia, attraverso battute brillanti (in perfetto english humor), in un crescendo entusiasmante in cui il rapporto empatico che viene a stabilirsi tra i due protagonisti determinerà il più prezioso presupposto per il raggiungimento del comune obiettivo: dare voce al Sovrano.

Per certi aspetti, questo logopedista ispira i futuri principi del Coaching moderno,  così determinato a portare in superficie le qualità che il suo cliente, inconsapevolmente, teneva nascoste dentro di sé, a prescindere anche dai limiti che la stessa balbuzie comportava: la capacità di provocare, sfidare, stimolare il suo assistito pur mantenendo vigile e presente il rispetto per la persona, tanto come Re, quanto come uomo; la sobrietà nell’affiancare con discrezione, senza mai invadere la scena, trasmettendo quel senso di partnership, di rassicurante presenza su cui contare, senza pretendere di essere per questo indispensabile.

Il Discorso del Re, è un film che suggerisco di vedere a tutti i colleghi e aspiranti Coach, perché rappresenta una grande lezione di umanità e professionalità per tutti coloro che desiderano eccellere in quelle discipline in cui la relazione interpersonale è fondamentale.

Non ultimo lo consiglio a tutti coloro che desiderano vivere un’avventura fatta di sfide, romanticismo, rabbia, amore, amicizia, dignità e non ultimo, brillante umorismo.

Sublime quando subito dopo il discorso radiofonico alla nazione, il Re confida al suo amico logopedista: “ho commesso due piccole incertezze..ma volevo che sapessero che ero veramente io (a parlare)”.. ovvero, come fare di un proprio difetto una virtù, un segno distintivo, conoscendo bene la “mappa” che gli altri si sono fatti di noi..

Provare a vincere

Mettiamo subito in chiaro una cosa: “provare a vincere” è una contraddizione in termini.

Per permettersi il lusso di ambire a un obiettivo così importante (vincere per vincere) è necessario premunirsi di una congrua dose di autodeterminazione, quanto basta per non prendere minimamente in considerazione l’eventualità che le cose che stiamo per determinare non accadano.

Neuro-linguisticamente parlando, il termine “provare” reca in sé, implicitamente, la possibilità che una determinata cosa che auspichiamo avvenga, possa anche non accadere: tutto questo può anche essere vero ex post, ma non di certo ex ante..e comunque non di certo nella testa di chi ha deciso di mettersi in gioco per ottenere il massimo; insomma, concedersi delle probabilità di successo significa implicitamente accettare anche delle probabilità di insuccesso…distrazione mentale che è distonica rispetto all’obiettivo.

E allora, chi mai dovrebbe scommettere sul nostro inevitabile trionfo se noi stessi per primi lo consideriamo soltanto probabile ??  Senza contare che, se è probabile, può essere altrettanto improbabile..

Nella testa di un campione, l’incertezza non è contemplata: vincere è l’unica opzione possibile; nella testa di un campione il podio ha soltanto uno scalino con il suo nome scolpito in carattere gotico a lettere dorate. Una volta acquisita, pensare da vincenti è un’attitudine mentale che rappresenta una risorsa straordinaria in ogni circostanza quotidiana, dentro e fuori dallo sport: una virtù capace di renderci reattivi e propositivi di fronte a qualsiasi evenienza prevista o imprevista; è la capacità di saper concertare strategie ed azioni sempre orientate a colpire il bersaglio, indipendentemente dalla sua posizione e distanza.

Naturalmente quando parliamo di un Campione, ci riferiamo a qualcuno che ha già appreso la dolorosa e difficile arte di saper perdere: parliamo dell’apprendimento di una virtù che si chiama umiltà; dell’imparare a comprendere i propri sbagli per costruirvi sopra le future strategie vincenti. Parliamo di dedizione, perseveranza, sacrificio, in nome di un sogno che si vuole, fortissimamente, a tutti i costi concretizzare.  In questo il Campione si pone in evidenza sugli altri: perché la sua determinazione permane quando gli altri vacillano, la sua mente resta forte e lucida anche quando il fisico è più debole, affinché ogni più piccola risorsa disponibile sia reclutata con il massimo impegno per il raggiungimento del massimo risultato possibile.

Per vincere, allenarsi non è solo questione di quantità ma soprattutto di qualità: per un atleta vincente , la concentrazione che precede il gesto atletico è sacra e indispensabile per la perfetta esecuzione tecnica.

Ovviamente, vincere non è un concetto assoluto: qualunque esso sia,  la vittoria è il raggiungimento di un obiettivo specifico che ci proponiamo di raggiungere: se il 50° posto del ranking di un determinato sport rappresentasse (in un determinato momento) il nostro reale potenziale esprimibile, piazzarsi al 57° posto non rappresenterebbe certo un successo; da quel maledetto 57° posto osserveremmo che qualcun altro è comodamente seduto sulla nostra poltrona n° 50, per nostra e soltanto nostra gentile concessione; dovremmo pensare che se lui è seduto lì, dove avremmo dovuto essere seduti noi, non è per suo merito perché è stato molto bravo, ma perché noi non lo siamo stati abbastanza. Ed allora, andarci a prendere quello che ci spetta dovrà essere la nostra principale ragione di vita (in termini agonistici ovviamente), fino a quando avere conquistato la 50a posizione del ranking avrà voluto dire avere vinto, avendo centrato il massimo risultato raggiungibile alla nostra portata

E poiché la vittoria ha un sapore che tende a sfumare presto, lavorare per andare oltre, sarà l’unico modo per ravvivarne il gusto..

Certamente per mettere in pratica tutto questo e determinare quello che si chiama “vantaggio competitivo”, ci sono tanti piccoli segreti che in questa sede non posso certo svelare.. Tuttavia,  una cosa è certa:

per “provare”, esistono gli allenamenti: le gare, servono solo per “vincere”. Inevitabilmente.

© 2023 Marco Formica

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