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Come formare i futuri campioni

future championUna cosa è certa: ogni campione che ammiriamo oggi, un tempo è stato il bambino che adorava i talenti sportivi della sua infanzia. Eppure la maggior parte dei giovani più promettenti, si perde ben prima dell’appuntamento con la celebrità: come mai? Come possiamo tutelare le prospettive di questi futuri campioni di domani?

Il segreto è coltivare la passione per lo sport attraverso la consapevolezza del piacere nel praticarlo.

Fin quando un’attività ci diverte, ne restiamo attratti e ci impegniamo al massimo trascurando la fatica che richiede. Poi, quando abbiamo finito, rimane un piacevole senso di soddisfazione misto alla spasmodica attesa del momento in cui si potrà ricominciare.

In questo processo, i genitori hanno un ruolo determinante, in quanto sono spesso coloro che avvicinano il bambino allo sport e, altrettanto spesso, quelli che ne determinano il distacco. Notoriamente, quando un ragazzo decide di abbandonare uno sport, lo fa in un preciso momento della sua carriera agonistica, ovvero, quando le aspettative di divertirsi sono sostituite dall’aspettativa di far divertire gli altri. In altre parole, quando un giovane atleta comincia a preoccuparsi di più della soddisfazione e del consenso di mamma e papà che dei propri sogni, è finita. Così, l’idea della gara imminente, diventa quanto di più preoccupante possa esserci nella sua giovane esistenza.

Quello che un genitore dovrebbe fare per evitare questa tragedia, dovrebbe essere soltanto limitarsi a sostenere i propri figli mostrando loro una fiducia e una serenità incondizionate.

Invece ci sono padri che dopo una performance deludente non rivolgono http://www.marcoformica.it/wp-admin/post-new.phpla parola alla propria figlia per giorni, se addirittura non le hanno urlato prima in campo un “mi vergogno di te”.

Pensare che questi comportamenti possano produrre qualcosa di buono, è come sperare di abbronzarsi usando una torcia elettrica..

Quindi, se è vero che dietro ad ogni uomo di successo c’è una grande donna, dietro ad ogni campione c’è una grande famiglia, soprattutto serena, equilibrata e lungimirante: una famiglia che trasmette fiducia, positività, che sdrammatizza sempre tutto, che incoraggia a insistere e a credere in se stessi. Ma soprattutto una famiglia che nello sport, si preoccupa prima di tutto che i ragazzi si divertano e siano felici di fare ciò che fanno.

Essere all’altezza dei propri allievi

Un insegnante dovrebbe sempre essere all’altezza del proprio incarico, della propria missione (trasmettere la conoscenza, rendere curiosi, trasmettere passione per una disciplina, scolastica o sportiva che sia), dei propri allievi. Continue reading

[:it]Miracoli della natura umana[:]

[:it]Cos’è che permette a un’atleta di esprimere una performance apparentemente impossibile?

Il mondo dello sport è ricco di storie straordinarie che raccontano imprese miracolose e inconcepibili, che hanno lasciato una traccia indelebile nella memoria e nel cuore di tante persone: emozioni profonde e intense, propagate da un singolo individuo a una folla sconfinata, colpita dall’eccezionalità di un evento travolgente, unico e irripetibile. Continue reading

[:it]Mandare lo sport in fumo[:]

[:it]Durante una risalita in seggiovia (in una nota località sciistica) mi sono ritrovato seduto accanto a tre giovani atleti dello sci, diciamo sui 15-16 anni: uno di questi, abbigliato come un vero campione dello slalom, gustava una sigaretta declamando le sue prodezze quotidiane per eludere i controlli dei genitori. Continue reading

Il linguaggio interiore nello sport

Lavorando con atleti di varia età e sport praticati, ho notato una comune modalità di linguaggio interiore: tutti si ripetevano cosa non fare o cosa evitare con frasi del tipo “non devo fare un’altra brutta figura”…”non devo perdere”…”non devo cadere”, etc..

Da un punto di vista neurolinguistico, questo tipo di focalizzazione è caratteristico di un approccio (verso se stessi e gli altri) negativo e controproducente, in quanto porta ad allontanarsi da qualcosa di sgradevole anziché spingersi verso qualcosa di piacevole,  con una dialettica che più di privilegiare l’azione “propositiva” evoca la fuga, o il contenimento dei danni collaterali (in quanto augurarsi di non fare un’altra brutta figura non implica necessariamente il contrario, tanto che abbiamo coniato la cosiddetta “prestazione incolore”..). Inoltre, la parola “devo” presuppone la presenza di una auto-imposizione e non di una volontà tipica del desiderare fortemente qualcosa: dire “devo studiare” anziché “voglio studiare”, evidenzia l’impegno in un’attività non desiderata, uno sforzo dedicato a soddisfare più l’esigenza di altri (per esempio i genitori) che la propria. Lo sport agonistico, a meno che non sia stato (malauguratamente) imposto ai figli dai propri genitori, è l’espressione di un profondo desiderio di eccellere attraverso un continuo confrontarsi, con se stessi e con gli altri: è voglia di crescere, migliorarsi e sacrificarsi con passione per il raggiungimento di precisi obiettivi che siano la materializzazione di un’ambizione raggiunta (con il conseguente senso di soddisfazione).

A questo punto verrebbe da pensare che un linguaggio interiore negativo possa essere caratteristico di condizionamenti familiari ma fortunatamente, in molti casi non è così. Si tratta spesso di “programmi difettosi” di cui siamo dotati in origine: per questa ragione siamo più portati a dire “sicuramente le prossime vacanze non le trascorrerò in montagna”, anziché “stavolta voglio proprio andare al mare”.. Siamo fatti così, ci esprimiamo inconsapevolmente così e altrettanto inconsapevolmente condizioniamo i nostri comportamenti attraverso le cose che pronunciamo, ad alta voce o dentro di noi.

Conoscere questo piccolo “bug” e “riprogrammare” il nostro linguaggio in modo diverso, è possibile e può senz’altro fare la differenza.

Imparare a prestare attenzione al linguaggio che utilizziamo quotidianamente ed esercitarsi a “ricondizionarlo in positivo” è un esercizio che potreste scoprire divertente.

Allora, “non chiudere la porta” diventerà “lascia la porta aperta”, mentre nel linguaggio sportivo anziché dire “non ti devi difendere” diremo “devi attaccare!”.. Al pronunciare “non devo essere teso”, sostituiremo un bombardamento di positività con “devo essere rilassato, sereno, più sciolto, in pace con me stesso: questo mi fa sentire calmo, lucido e pronto per dare il massimo”..

Educarsi a questo tipo di linguaggio ha implicazioni molto più potenti di quanto si possa immaginare: è un’auto induzione a cambiare mentalità, modo di pensare e approccio alla vita…un modello esportabile in qualsiasi contesto e circostanza che garantisce risultati che sembravano impossibili.

Pensare da Campione

La pubblicità di una nota marca di orologi recitava: “calcoliamo il centesimo di secondo che separa chi vince da chi partecipa”. Lo sport agonistico è competizione e si compete per vincere, non certo per partecipare: magari alle olimpiadi sarà importante esserci…ma non certo quanto per  salire sul più alto gradino del podio. Dopo tutto se ci si allena per giorni, settimane, mesi ed anni, è per la voglia di primeggiare prevalendo su tutto e su tutti: che siano gli altri, un destino avverso, un pronostico sfavorevole, vincere è la più gratificante ed appariscente forma di autoaffermazione. Ma quanti si allenano a vincere? Pochi, perché per primeggiare in qualsiasi sport (come nella vita) la cosa più importante da allenare è la testa. Continue reading

Il Coaching per i traumi nello sport giovanile

Oggi voglio parlarvi di come i ragazzi vivono un trauma fisico nel contesto di una pratica sportiva, prendendo spunto da fatti realmente accaduti di recente. Luisella (nome di comodo) è una ragazzina di  13-14 anni che ha raggiunto una buona impostazione tecnica nello sci. Purtroppo in un incidente sulle nevi, subì la frattura di due vertebre e questo brutto evento la rese piuttosto insicura quando le condizioni delle piste diventavano più difficili. Così un giorno mentre rientravamo con tutta la classe dalla lezione di sci, Luisella si scontrò con uno sconosciuto snowbordista che (come ormai purtroppo sempre più spesso accade) non appena rialzato si volatilizzò in un secondo. Luisella aveva impattato la schiena ed era a terra dolorante, in preda al terrore, ripetendo meccanicamente “mi sono rotta..mi sono rotta…”

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