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La felicità è un’attitudine

Contrariamente a ciò che pensiamo, i bambini non sono progettati per assimilare le indicazioni verbali, bensì essi imparano attraverso l’esempio pratico, ovvero i nostri comportamenti. In sostanza, il loro apprendimento è molto più influenzato da ciò che ci vedono fare, che da ciò che ci sentono dire. Continue reading

L’interruttore dell’emotività

Ogni stato d’animo determina automaticamente un comportamento fisiologicamente caratteristico: in un momento di sofferenza o disperazione, assumiamo spontaneamente una postura chiusa, piegata su se stessa, le mani al viso, gli occhi chiusi: l’addome è chiuso e contratto e preme contro il diaframma determinando una respirazione breve e frammentaria, mentre una morsa allo stomaco contribuisce al generale irrigidimento muscolare, a un torpore fisico e mentale che si diffonde in una spirale di malessere che sembra senza fine. Continue reading

[:it]Miracoli della natura umana[:]

[:it]Cos’è che permette a un’atleta di esprimere una performance apparentemente impossibile?

Il mondo dello sport è ricco di storie straordinarie che raccontano imprese miracolose e inconcepibili, che hanno lasciato una traccia indelebile nella memoria e nel cuore di tante persone: emozioni profonde e intense, propagate da un singolo individuo a una folla sconfinata, colpita dall’eccezionalità di un evento travolgente, unico e irripetibile. Continue reading

La speranza

Anche quest’anno sta per finire e come sempre è tempo di bilanci.

Tra l’altro, il 2010 ha dato i natali a questo Blog da cui spero di avere offerto qualche utile spunto di riflessione ai numerosi avventori che vi sono transitati più o meno regolarmente. L’ultimo spunto che desidero lanciare sul photofinish riguarda proprio la celebrazione del Capodanno, con le sue tradizioni, convinzioni, desideri e buoni propositi, proprio perché l’immaginario collettivo è rappresentato da una “mappa” abbastanza comune e diffusa, che bene descrive il nostro modo di pensare nei confronti del passato, presente e futuro.

Significativa è l’invenzione del tempo, affinché l’uomo potesse orientarsi attraverso gli eventi, con un modello organizzativo che prende il nome di stagioni, anni, mesi, giorni, fino ad arrivare ai millesimi di secondo. In questo modo, il 31 dicembre di ogni anno è come se qualcosa avesse veramente terminato il suo corso..come se la natura potesse predisporci una ricarica nuova da spendere per i successivi 12 mesi: potremmo attribuire i nostri eventuali insuccessi a un anno particolarmente sfortunato e,  naturalmente secondo questa mappa, le nostre speranze verrebbero riposte nel nuovo anno, cui attribuiremmo il potere mistico di determinare la nostra fortuna, come se la vita dipendesse più da fatti esterni che dalla qualità e quantità del nostro operato.

Certo, molti diranno che augurarsi che il nuovo anni ci porti qualcosa di buono è solo un luogo comune, una tradizione popolare e niente altro..ma a guardare i dati di crescita del super enalotto, del win for life e delle diaboliche slot machine che popolano bar e tabaccherie di tutta Italia, direi che il futuro del genere umano si stia attaccando più a un’improbabile speranza che a poche ottimistiche certezze. Non che la fortuna abbia mai avuto un ruolo trascurabile nella vita delle persone..ma almeno ai tempi dei nostri nonni si diceva che aiutava gli audaci, che proprio non sono quelli che oggi comprano il “gratta e vinci” all’ Autogrill..

Eppure se oggi abbiamo l’elettricità, internet, gli aerei di linea che ci portano oltreoceano, l’aria condizionata..se abbiamo sconfitto le malattie di ogni secolo e portato acqua e gas nelle case, lo dobbiamo a uomini e donne che hanno scommesso su qualcosa di più che un numero della roulette: parlo di persone che hanno creduto fortemente nelle infinite potenzialità dell’essere umano  dedicando ogni propria risorsa per individuare le possibili soluzioni ai disagi di ogni tempo, se non per migliorare la qualità di vita della specie.

Dedico queste righe ai medici e paramedici che militano negli ospedali africani dove non c’è tempo per aspettare un colpo di fortuna e dedico queste riflessioni a chiunque si trovi per scelta ad operare dove soltanto sperare nel nuovo anno non allevierà le sofferenze dei più deboli. Desidero onorare chi, per fede, per coraggio, per solidarietà, si mobilita ogni giorno per fare di questo pianeta un posto migliore in cui vivere, spinto dalla convinzione che avremmo già le risorse necessarie per riuscirci se soltanto ci  impegnassimo tutti insieme. Per inseguire questo sogno non occorre necessariamente essere scienziati, astronauti, medici o ingegneri: basterebbe capire meglio il valore della vita, apprezzarne la sua varietà, rispettandone i valori, condividendo risorse ed obiettivi per offrire una esistenza dignitosa a tutti.

E allora Buone Feste, soprattutto alle donne e agli uomini di buona volontà che sono oggetto delle altrui speranze.

il problem solving e la parabola del barometro

Per la maggior parte di noi, risolvere un problema è un compito più legato a un metodo che all’ingegno: è più correlato con l’apprendimento e la messa in opera di un determinato protocollo comportamentale che alla capacità di riflettere, immaginare ed elaborare varie possibilità d’intervento tra le quali individuare quella che sembra più appropriata al caso.

Dopotutto non è un caso se coniamo proverbi del tipo: chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova..  siamo attaccati alle nostre piccole grandi certezze e ci sentiamo confortati da questo bagaglio di ovvietà fino a quando, inevitabilmente qualcosa interviene dimostrandoci che la vita è fatta di continui mutamenti ai quali sottrarsi è impossibile per chiunque.

Pertanto, soluzioni vecchie, che su un determinato contesto hanno sempre funzionato, non è detto che non possano fallire: magari il campo è lo stesso, la squadra anche, gli avversari pure..ma un diverso allenatore potrebbe sconvolgere un risultato apparentemente scontato; oppure quel giorno gli avversari sono più forti della stagione precedente..tutto può cambiare..e allora diventa importante saper improvvisare nuove e diverse soluzioni, reazioni, comportamenti, per trovare quel qualcosa che può essere funzionale e complementare a quel qualcos’altro. Insomma, la quadratura del cerchio, la tessera del mosaico, l’incastro del puzzle.

Per sua natura, la mente umana, tende sempre a cercare tra le proprie esperienze quella che somiglia di più alla situazione presente che sta vivendo, nel tentativo di individuare immediatamente un comportamento adatto alla circostanza: se la soluzione più evidente non funzionasse però, allora dovrebbe appellarsi al suo lato creativo, che sempre in virtù dell’esperienze vissute, dovrebbe sforzarsi per trovare altre possibilità di successo. In questo campo è interessante notare come di fronte alla scarsità di idee, nel momento in cui in un gruppo qualcuno ne trova una, immediatamente altri individui ne trovano altre, come se più che un problema di esplosivo si trattasse di un problema di innesco. Certamente questo dimostra che la creatività ha spesso bisogno di stimoli esterni..tuttavia domandiamoci chi stimolerà mai il primo individuo? Magari la natura, un rumore o un’immagine..tuttavia è certo che chi possiede una spiccata attitudine nel trovare soluzioni, ha una mentalità molto aperta sia verso l’esterno che l’interno: ovvero una capacità di cogliere gli stimoli esterni e nel contempo saper rimettere in discussione ogni certezza acquisita affinché si possano generare nuovi schemi con la massima flessibilità.

A questo proposito, quello che segue è un simpatico racconto che ho conservato da diversi anni, immaginando che un giorno avrei potuto condividerlo per uno scopo meno ovvio delle quattro risate che è in grado di regalare.

Qualche tempo fa venni chiamato da un collega che mi chiedeva se potevo assisterlo nel valutare una risposta ad una domanda d’esame. Egli intendeva dare uno zero ad uno studente per una sua risposta ad un test di fisica, mentre lo studente sosteneva di meritare il massimo dei voti, e che così
sarebbe stato se il sistema non fosse stato truccato a svantaggio degli studenti. Sia lo studente che l’insegnante concordarono di accettare il giudizio di un giudice imparziale, ed io venni scelto per questo.
Andai nell’ufficio del mio collega e lessi la domanda dell’esame: “Dimostrare come sia possibile determinare l’altezza di un edificio con l’aiuto di un barometro”. Lo studente aveva risposto: “Portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una lunga corda, calarlo fino alla strada e poi tirarlo su, misurando la lunghezza della corda. La lunghezza della corda equivale all’altezza dell’edificio.” Io feci presente che lo studente aveva effettivamente delle buone ragioni dalla sua, considerando che davvero aveva risposto alla domanda completamente e correttamente. D’altra parte, se gli fosse stato dato il massimo dei voti, questo avrebbe contribuito alla valutazione positiva della sua preparazione in fisica. Una valutazione positiva dovrebbe certificare una competenza nel campo della fisica, e la risposta non corroborava questa ipotesi. Suggerii perciò che allo studente venisse concessa una seconda possibilità per rispondere alla domanda.
Non mi sorprese quando mio collega si disse d’accordo, ma mi sorprese quando fu lo studente a dichiararsi d’accordo. Diedi perciò sei minuti allo studente per rispondere alla domanda, con l’avvertimento preventivo che la risposta avrebbe dovuto dare prova delle sue conoscenze di fisica. Alla fine dei primi cinque minuti, non aveva ancora scritto nulla. Gli chiesi se volesse ritirarsi, ma rispose di no. Aveva un sacco di risposte al problema, stava solo pensando a quale fosse la migliore. Gli chiesi scusa per averlo interrotto e lo pregai di continuare.
Nel minuto successivo, scrisse fulmineamente una risposta che diceva: Portate il barometro in cima all’edificio e sporgetevi in fuori oltre l’orlo del tetto. Lasciate cadere il barometro, cronometrandone la caduta e quindi, usando la formula x =0.5*a*t^2, calcolare l’altezza dell’edificio.”
A quel punto, chiesi al mio collega se volesse arrendersi. Lui accettò, concedendo allo studente quasi il massimo dei voti. Mentre me ne stavo andando dall’ufficio del collega, mi ricordai che lo studente aveva detto che aveva altre risposte al problema, e gli chiesi quali fossero.
“Beh,” disse lo studente “ci sono molti sistemi per scoprire l’altezza di un edificio usando un barometro.” “Per esempio si può portar fuori il barometro in una giornata di sole, e misurare l’altezza del barometro, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra dell’edificio, e poi, usando una semplice proporzione, determinare l’altezza dell’edificio.”
“Bene,” gli dissi “e ci sono altre risposte?” “Certo,” disse lo studente “C’è un sistema di misura molto semplice che le piacerà. In questo metodo, si prende il barometro, e si cominciano a salire le scale. Salendo le scale, si segna con un tratto la lunghezza del barometro sulla parete. Poi si contano le tacche, e questo le fornisce l’altezza dell’edificio in barometri.” “Un metodo molto diretto.”
“Naturalmente Se vuole un metodo più sofisticato, può legare il barometro ad un pezzo di spago, farlo dondolare come un pendolo, e determinare il valore di g a livello strada ed in cima all’edificio. Dalla differenza dei due valori di g, si può calcolare, in linea di principio, l’altezza dell’edificio.”
“Parimenti, si può portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una corda lunga, calarlo fin quasi a livello strada e poi farlo oscillare come un pendolo. Si può calcolare l’altezza dell’edificio dal periodo della precessione.” “Infine,” concluse, “ci sono molti altri metodi per risolvere il problema.
Probabilmente il migliore”, disse, “consiste nel portare il barometro nello scantinato, e bussare alla porta del custode quando il custode apre, gli si dice così:’Signor Custode, ecco qui un bel barometro. Se lei mi dice l’altezza dell’edificio, glielo regalo.”
A questo punto, chiesi allo studente se davvero non conoscesse la risposta convenzionale alla domanda. Lui ammise di conoscerla, ma disse che si era francamente stufato di docenti universitari che cercavano di insegnargli come pensare.

Quante volte a scuola ci hanno spiegato le finalità per le quali dovevamo sottoporci agli studi di una materia o di un argomento?

Avete mai sentito un’insegnante di geografia parlare di jet lag?  Sicuramente la spettacolare reazione delle Mentos nella Coca Cola non l’avrete appresa dal prof. di chimica, ne’ quello di fisica vi avrà parlato di balistica spiegando che il tappo di uno spumante d’Asti nel primo metro di percorrenza raggiunge i 200km/h , grazie alla pressione (di circa 7 atmosfere) del gas, provocata dalla decomposizione degli zuccheri in fermentazione..

La chiave dell’apprendimento è nel coinvolgimento, nella condivisione che porta alla motivazione, nello stimolo della curiosità che spinge a voler capire per se stessi anziché per la gloria di un voto.  Le capacità di pensiero, riflessione, elaborazione, sono già preinstallate dalla natura e necessitano solo di stimoli per esercitarsi: per un giovane lo stimolo non è l’ipotenusa ma come calcolare il piano inclinato della rampa da skateboard, è studiare l’inglese partendo dai testi del suo cantante preferito, è partire dalla storia più recente per capire perché i suoi nonni dovevano dormire in un rifugio anti aereo, è dibattere sul pessimismo cosmico di Leopardi per confrontarlo con quello della sua adolescenza o della sua civiltà.  Forniamo uno scopo capace di ispirare la curiosità e lo studio di qualsiasi attività umana, affinché la passione guidi i giovani verso la ricerca infinita delle risposte che l’ignoto nasconde..e avremo facilitato lo sviluppo di menti brillanti, sempre tese a capire, con passione e flessibilità, verso se stesse e verso la vita.

impensabile non vuol dire impossibileunthinkable does not mean impossible

Una celebre frase del grande pilota (di automobilismo) Mario Andretti recita: “se hai la sensazione di avere la situazione sotto controllo, evidentemente non stai andando abbastanza veloce..”

Com’è possibile capire se possiamo andare oltre il nostro limite se ancora non l’abbiamo raggiunto??

Che cos’è il limite? In teoria è il punto oltre il quale, in un determinato momento, di fronte a un certo ostacolo, non abbiamo la capacità di andare oltre..in pratica, il limite è un’idea, una convinzione: la nostra personalissima rappresentazione di un luogo, una linea, un punto  oltre il quale riteniamo di non poter andare, tanto con il corpo (pensiamo all’asticella del salto in alto) quanto con la mente (come nel caso di un calcolo matematico di elevata complessità).

Le origini di questo atteggiamento mentale possono essere svariate,  come una scarsa autostima, una discutibile capacità di auto valutarsi, la predisposizione a lasciarsi influenzare dal pessimismo altrui…in ogni caso, è quasi sempre vero che, posti di fronte ad una serie di ostacoli, il primo, il più insormontabile,  è quello che ci siamo creati noi stessi, con le nostre indecisioni, incertezze e fragilità. Ovviamente, una volta stabilita l’inviolabilità dell’ostacolo, l’alpinista cesserà di scalare la montagna, il maratoneta cesserà di correre, lo studente smetterà di studiare, lo scienziato non farà più ricerche, il soldato smetterà di combattere.

La buona notizia è che se il limite è nella nostra mente,  (e credetemi, è li che risiedono la maggior parte degli ostacoli che incontriamo nella vita) esso si trova proprio nel posto meno sicuro per sopravvivere nel tempo.  Se il limite è un’idea, le idee possono cambiare e diventare una fantastica avventura in cui confrontarsi continuamente con se stessi e con il mondo circostante, per sfidare e sfidarsi, crescere ed evolvere.

Dopo tutto, i limiti non sono altro che un codice convenzionale per condividere un parametro che possa, prima o poi, essere infranto.

Per fare questo, bisogna per prima cosa crederlo possibile: come il record dei 200mt. piani stabilito da Mennea nel 1979, poi superato 17 anni più tardi da Michael Johnson; possibile come la scalata delle 14 montagne oltre gli ottomila metri (Reinhold Messner); possibile come sopravvivere due mesi e mezzo, imprigionati in una miniera a 700mt. di profondità (i minatori Cileni). Una volta capito e deciso che questo punto di riferimento è lì solo per essere superato, occorre elaborare una strategia per riuscirci ed applicare ogni tattica possibile, spendendo ogni risorsa disponibile, del corpo e della mente.

Per superare i propri limiti bisogna imparare a conoscerli e l’unico modo per farlo è frequentarli il più possibile, allenandosi con grande impegno ai massimi livelli, per abituarsi a quella zona in cui possibile e impossibile convivono, separati da una membrana invisibile e permeabile, dove vincere o cadere può dipendere da un soffio..

Per questa ragione, anche l’atleta più forte e talentuoso, se in allenamento non cade mai, significa che non sta prendendo confidenza con i propri limiti.. Cadere è una conseguenza dell’osare, del credere possibile, del combattere, del determinarsi a raggiungere l’obiettivo.

Cadere significa avere trovato il limite e finalmente avere visto con chi avere a che fare, per poterlo studiare, affrontare e battere.

Si comincia camminando a malapena sulla trave e si finisce per fare un salto mortale rovesciato sulla corda..e quello che un giorno era impensabile, finisce per diventare possibile. Già, perché spesso le cose che riteniamo impossibili restano tali solo fino a quando le consideriamo impensabili.A famous phrase of the great driver (motor racing) Mario Andretti says: “If you feel that you have the situation under control, you’re not going fast enough ..”
How could we go beyond our limits if we have not reached yet?
What is the limit? In theory, the point beyond which, at a given moment, facing a certain obstacle, we do not have the ability to go further .. in practice, the limit is an idea, a conviction that our own personal representation of a place , a line, a point beyond which we cannot go, nor with the body (think hight jumping stick) neither with the mind (as in the case of a highly complex mathematical calculations).
The origins of this mindset can be varied, such as low self-esteem, a questionable ability to self-evaluation, the tendency to be influenced by the pessimism of others … in any case, it is almost always true that, faced with a series of obstacles, the first, the most intractable is that we have created ourselves, with our indecision, uncertainty and fragility. Of course, once established the inviolability of the obstacle, the climber will cease to climb the mountain, the marathon will cease to run, the student will stop to study, the scientist will cease the research, the soldiers stop fighting.
The good news is that if the limit is in our mind, (and believe me, it’s there that counts most of the obstacles we encounter in life) it is located in the least safe place to survive over time. If the limit is an idea, ideas can change and become a fantastic adventure, an exciting challage with ourself and the surrounding world, to fight and compete, grow and evolve.
After all, the limits are nothing more than a conventional code to share a parameter that can, sooner or later be broken.
To do this, we must first believe it possible: as a record of 200 meters drawn up by Mennea in 1979, then passed 17 years later by Michael Johnson; as possible to climb the 14 mountains over eight thousand meters (Reinhold Messner); possible as survive two and half months, trapped in a mine at 700 mt. depth (Chilean miners). Once understood and agreed that this reference point is there only to be overcome, it must be develop a strategy to succeed and to apply every tactic possible, spending every available resource, related to the body as much as the mind.
To overcome our own limitations we must learn to know them and the only way to do this is to attend them as much as possible, training with great commitment at the highest levels, to get used to the area where possible and impossible live together, separated by an invisible, permeable membrane, where win or fall may depend on a breath ..
For this reason, even the strongest and most talented athlete, whether in training never falls, it means that he is not getting to grips with its limitations .. Falling is a consequence of dare, of  believeing in the human being, of fighting supported by the determination to achieve the goal.
Falling means you have found the limit and finally have seen those who you have something to do, to be able to investigate, compare and defeat.
It barely begins walking on the beam and you end up doing a flip upside down on the rope .. and what a day was unthinkable, ends up as possible. Yeah, because often the things are impossible until we consider them unthinkable.

Lezione di felicita’Lesson of Happiness

Era bella la mia Porsche, la mia prima 911, bianca e muscolosa, elegante e al tempo stesso sportiva: era la manifestazione visibile della mia personalità, il prolungamento smisurato del mio ego, o, se preferite, il prolungamento del mio ego smisurato.

Comunque, adoravo quella macchina e l’accudivo con la stessa maniacalità con la quale ciascun adone cura se stesso.

Un giorno come tanti, guidando in città, una piccola distrazione le costò l’offesa di un parafango ammaccato. Un danno da poco per molti, una coltellata sul quadricipite femorale per me: come quando una macchia di sugo si tuffa sulla tua cravatta migliore, o ti accorgi che le tarme hanno banchettato con il tuo pullover di cachemire,  o cogli in flagrante la fidanzata (tua) con il migliore amico (tuo, anche quello). Insomma, la tragedia greca interpretata con pessimismo cosmico leopardiano, elevato all’ennesima potenza.

Non ero neanche sceso a guardare: non volevo sapere ciò che già immaginavo e non volevo che i miei occhi potessero scorgere un dramma ancor peggiore di quanto l’immaginazione non avesse già fatto. E poi era sabato e con i carrozzieri chiusi non avrei neppure potuto cercare il conforto immediato del pronto soccorso.  Come gettare benzina sul fuoco, direte voi: no, per me era come un B-29 che sganciava napalm su una raffineria di petrolio.

Ero così giunto a un semaforo e, nell’attesa del verde, biascicavo tutto il mio odio per quel giorno nefasto, con virtuosismi semantici che avrebbero oscurato un’aurora boreale, tanto che se la rabbia fosse stata una forma di energia alternativa, avrei potuto alimentare un quartiere di Los Angeles e avanzarne per scongelare il Polo Nord.

Mentre tutto questo accadeva, la mia attenzione venne attratta da un signore dall’aspetto distinto, che con aria serafica attraversava la strada con il suo cane. Aveva un passo tranquillo e sicuro, un viso rilassato e procedeva sereno per la sua strada incurante del caos cittadino: su una mano impugnava un bastone bianco, troppo sottile per sorreggere il suo peso..sull’altra stringeva qualcosa che somigliava più alla maniglia di un carrello della spesa che a un guinzaglio per cani.  Attraverso il parabrezza, come fosse stato dallo schermo di un televisore, osservai inebetito questo “non vedente” attraversare la strada: sul viso un sorriso che pareva fare il verso alla Gioconda, una postura eretta che esprimeva dignità, procedeva con grande naturalezza, accompagnato dal suo fedele amico a quattro zampe.

Fu come accendere un faro sul mio incommensurabile egoismo egocentrista, sulla fragilità del mio sistema valoriale, su quelle deficienze che il moderno linguaggio magnanimamente definirebbe “aree di miglioramento”..

Sembrava un film, un fulmine a ciel sereno, un bagno d’umiltà nel Gange, la quiete dopo la tempesta, un sorso di saggezza dopo l’arsura della follia, il ritorno alla ragione dopo il delirio, un assaggio di felicità dopo l’oblio.

A volte per crescere basta essere un po’ curiosi, saper osservare e confrontare cosa ci accade dentro con ciò che accade fuori: solo allora sarà possibile capire quanto la lungimiranza sia una virtù più legata alla mente e allo spirito che alle diottrie..e che la vita è una grande riserva di opportunità dove la caccia è sempre aperta, senza discriminazioni di sorta, alla portata di chiunque abbia voglia di guardarsi intorno, vedente o meno..She was beautiful my Porsche, my first 911, white, muscular, elegant and sporty at the same time: it was the visible manifestation of my personality, the invaluable extension of my ego, or, if preferred, the extension of my invaluable ego.
However, I loved that car and I took care of her with the same maniacal care with which each Adonis cares himself.
A day like any other, driving in the city, a small distraction caused her a dented fender. A little damage for  most of the people, a jacknife in the quadriceps femoris for me, as when a drop of coffee lands on your favorite tie, or you realize that the moths have feasted with your cashmere sweater, or your girlfriend has escaped  with the best friend (yours, even that). In short, the Greek tragedy played with cosmic pessimism, elevated to the nth degree.
I was not even looking down there, avoiding  to discover a drama even worse than my imagination had not already done so. And then it was Saturday and with the body-workers closed, it wouldn’t  even offered the consolation by  an immediate first aid. Like throwing gasoline on the fire, you may say: no, for me it was like a B-29, which unleashed napalm on an oil refinery.
I was thus arrived at a traffic light, waiting for the green, muttering all my hatred for that fateful day, with semantic virtuosity that would have obscured the aurora borealis, so that if the anger had been a form of alternative energy, I could supply a neighborhood of Los Angeles, and still have some more to thaw the North Pole.
While all this was happening, my attention was attracted by a distinguished-looking gentleman, who with seraphic mood was crossing the street with his dog. He had a quiet and safe passage, a relaxed face and proceeded to his own way regardless of the surraunding chaos: on one hand he held a white stick, too thin to support his weight, whilst on the other grasped something that looked more like the handle of a shopping cart than a dog leash. Through the windshield, as it was from a TV screen, I watched this “blind” crossing the street with a smile depicted on his face that seemed to make the Mona Lisa, an upright posture expressing dignity, proceeded quite naturally, accompanied by his faithful canine friend.
It was like turning a light on my immeasurable egocentric selfish, on the fragility of my value system, on those deficiencies that modern language generously would define “areas of improvement” ..
It looked like a movie, a thunderclap, a humility bath in the Ganges river, the calm after the storm, a taste of wisdom after the burning of madness, the return to reason after the delirium, a taste of happiness after the oblivion.
Sometimes in order to grow up, you just need to be a little curious as much as to observe and compare what is happening inside with what is happening outside: only then can you understand how “the vision” is a virtue which is more linked to the mind and spirit than a bunch of diopters , as much as life is a boundless prairie of opportunities where hunting is always open, without any discrimination, within the possibility of anyone is willing to look around, blind or not ..

Provare a vincere

Mettiamo subito in chiaro una cosa: “provare a vincere” è una contraddizione in termini.

Per permettersi il lusso di ambire a un obiettivo così importante (vincere per vincere) è necessario premunirsi di una congrua dose di autodeterminazione, quanto basta per non prendere minimamente in considerazione l’eventualità che le cose che stiamo per determinare non accadano.

Neuro-linguisticamente parlando, il termine “provare” reca in sé, implicitamente, la possibilità che una determinata cosa che auspichiamo avvenga, possa anche non accadere: tutto questo può anche essere vero ex post, ma non di certo ex ante..e comunque non di certo nella testa di chi ha deciso di mettersi in gioco per ottenere il massimo; insomma, concedersi delle probabilità di successo significa implicitamente accettare anche delle probabilità di insuccesso…distrazione mentale che è distonica rispetto all’obiettivo.

E allora, chi mai dovrebbe scommettere sul nostro inevitabile trionfo se noi stessi per primi lo consideriamo soltanto probabile ??  Senza contare che, se è probabile, può essere altrettanto improbabile..

Nella testa di un campione, l’incertezza non è contemplata: vincere è l’unica opzione possibile; nella testa di un campione il podio ha soltanto uno scalino con il suo nome scolpito in carattere gotico a lettere dorate. Una volta acquisita, pensare da vincenti è un’attitudine mentale che rappresenta una risorsa straordinaria in ogni circostanza quotidiana, dentro e fuori dallo sport: una virtù capace di renderci reattivi e propositivi di fronte a qualsiasi evenienza prevista o imprevista; è la capacità di saper concertare strategie ed azioni sempre orientate a colpire il bersaglio, indipendentemente dalla sua posizione e distanza.

Naturalmente quando parliamo di un Campione, ci riferiamo a qualcuno che ha già appreso la dolorosa e difficile arte di saper perdere: parliamo dell’apprendimento di una virtù che si chiama umiltà; dell’imparare a comprendere i propri sbagli per costruirvi sopra le future strategie vincenti. Parliamo di dedizione, perseveranza, sacrificio, in nome di un sogno che si vuole, fortissimamente, a tutti i costi concretizzare.  In questo il Campione si pone in evidenza sugli altri: perché la sua determinazione permane quando gli altri vacillano, la sua mente resta forte e lucida anche quando il fisico è più debole, affinché ogni più piccola risorsa disponibile sia reclutata con il massimo impegno per il raggiungimento del massimo risultato possibile.

Per vincere, allenarsi non è solo questione di quantità ma soprattutto di qualità: per un atleta vincente , la concentrazione che precede il gesto atletico è sacra e indispensabile per la perfetta esecuzione tecnica.

Ovviamente, vincere non è un concetto assoluto: qualunque esso sia,  la vittoria è il raggiungimento di un obiettivo specifico che ci proponiamo di raggiungere: se il 50° posto del ranking di un determinato sport rappresentasse (in un determinato momento) il nostro reale potenziale esprimibile, piazzarsi al 57° posto non rappresenterebbe certo un successo; da quel maledetto 57° posto osserveremmo che qualcun altro è comodamente seduto sulla nostra poltrona n° 50, per nostra e soltanto nostra gentile concessione; dovremmo pensare che se lui è seduto lì, dove avremmo dovuto essere seduti noi, non è per suo merito perché è stato molto bravo, ma perché noi non lo siamo stati abbastanza. Ed allora, andarci a prendere quello che ci spetta dovrà essere la nostra principale ragione di vita (in termini agonistici ovviamente), fino a quando avere conquistato la 50a posizione del ranking avrà voluto dire avere vinto, avendo centrato il massimo risultato raggiungibile alla nostra portata

E poiché la vittoria ha un sapore che tende a sfumare presto, lavorare per andare oltre, sarà l’unico modo per ravvivarne il gusto..

Certamente per mettere in pratica tutto questo e determinare quello che si chiama “vantaggio competitivo”, ci sono tanti piccoli segreti che in questa sede non posso certo svelare.. Tuttavia,  una cosa è certa:

per “provare”, esistono gli allenamenti: le gare, servono solo per “vincere”. Inevitabilmente.

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