Molti anni fa, quando ero un giovane manager rampante (o quanto meno credevo di esserlo), lavoravo come funzionario commerciale in una delle maggiori società di gestione del risparmio italiane.
Poiché i nostri fondi comuni di investimento erano distribuiti attraverso una moltitudine di istituti bancari, capitava molto raramente che ricevessimo dei clienti presso la nostra sede. Un giorno mi chiesero di occuparmi di un signore che si era presentato nei nostri uffici e così lo accolsi in una delle sale riunioni disponibili.
Si trattava di un uomo sui settanta anni portati bene, vestito casual ma ben curato: ancora ricordo i capelli bianchi e quel giubbotto di Polo Ralph Lauren, che gli dava un aria giovanile ma calibrata, senza scadere nell’effetto “vorrei ma non posso”.
Mi presentai con una stretta di mano facendolo accomodare al tavolo, per poi esordire con disinvoltura nel modo più infelice che potessi trovare, dicendo: “allora, mi dica pure il suo problema”.
Il suo volto improvvisamente cambiò espressione, facendosi scuro come se gli avessi insultato a morte l’intero albero genealogico: i suoi occhi si fecero di ghiaccio, facendo precipitare la temperatura della stanza a livelli antartici. Senza che avesse il bisogno di insinuarsi, il dubbio che avessi commesso una clamorosa gaffe era già una monolitica certezza, inevitabile quanto le parole che avrebbe pronunciato con tono perentorio: “Scusi, cosa le fa pensare che io abbia dei problemi ??…Le ho forse detto di avere un problema??!!”…