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I nostri limiti

In America, i miei colleghi li chiamano “limiting beliefs”, ovvero le convinzioni, i pensieri che sono alla base delle nostre limitazioni: quando pensiamo di non essere all’altezza di un incarico,  o crediamo che certi obiettivi siano fuori dalla nostra portata, spesso dipende dall’idea che ci siamo fatti di noi stessi e delle “capacità che non pensiamo di avere”; curiosamente, entra in gioco una sorta di auto-reputazione che ci siamo attribuiti nel tempo attraverso le esperienze che si sono susseguite .

Naturalmente, per molti è più comodo pensare di non avere i mezzi per eccellere in qualcosa, piuttosto che impegnarsi e mettersi in gioco per dimostrare il contrario: in questo modo non si rischiano brutte figure, in quanto non si alimentano le aspettative di chicchessia e tanto meno le proprie. Tutto questo però, al caro prezzo di lasciare inespresse alcune delle potenzialità che potrebbero fare la differenza nella nostra vita: questa cosa il nostro inconscio la sa bene e si preoccupa di farcela sapere attraverso quel sottile senso d’insoddisfazione con il quale ci svegliamo ogni mattina, fino a quando quel vago ma continuo senso di frustrazione non ci spingerà ad esplorarne le cause.

Si dice che per “parcheggiare”  un elefante sia sufficiente legarlo ad un modesto paletto, poiché egli è altrettanto legato al ricordo di quando, da cucciolo, non aveva la forza per liberarsene. Insomma, un bestione di qualche tonnellata, capace di sollevare agilmente un tronco d’albero, per tutta la vita resta prigioniero della propria convinzione di non poter spezzare un comune paletto di legno.  Tutto questo per dire quanto certi fenomeni che ci limitano nella quotidianità, siano da cercare più dentro di noi che altrove (come a volte  preferiamo  credere che sia).

I sintomi delle “convinzioni limitanti” sono tipicamente quelli di chi si esprime enunciando un obiettivo mentre al contempo si giustifica per la mancanza dei mezzi necessari al suo raggiungimento: si esprime descrivendo ciò che non ha e ciò che non vuole, piuttosto che affermare cosa vorrebbe ottenere, valutando quali siano le risorse a disposizione per lo scopo. Insomma, per chi “doveva andare a Milano ma la macchina era ancora dal meccanico”, non ci sono piani di riserva che contemplino alternative quali prendere il treno o l’aereo,  noleggiare un auto piuttosto che chiederla in prestito..

Sul fronte opposto, ricordo quando insegnai a sciare a un uomo che aveva perso le gambe dalle ginocchia in giù (ovviamente portava delle protesi per camminare): lui ebbe il coraggio di chiedermi se avrebbe potuto imparare (pensandolo possibile); io ebbi la sfacciataggine di proibirgli di noleggiare l’attrezzatura caldeggiandone l’acquisto per dimostrargli quanto fossi convinto che avrebbe sicuramente sciato. Sarà stato un azzardo, ma il fatto che entrambi lo avessimo creduto possibile, quanto il fatto che entrambi fossimo stati estremamente desiderosi di ottenerlo, fecero accadere la magia, o meglio qualcosa di molto più terreno ma dai risvolti emotivamente indescrivibili.. Certo, ovviamente occorre ricordare che a monte di tutto questo, da parte di chi opera  esiste una determinata sensibilità verso la circostanza, esiste un metodo che va applicato ed esiste un’esperienza con la quale interpretarlo per adattarlo al caso specifico.

Naturalmente, a parte le mie vicissitudini di Maestro di Sci, il tema delle “convinzioni limitanti” rappresenta una delle più frequenti aree d’intervento per un Life Coach: un affascinante viaggio alla riscoperta dell’individuo  e delle sue capacità di rinnovarsi per  affrontare una vita più consapevole e stimolante, con nuove risorse da impiegare per il raggiungimento delle proprie ambizioni.

In fondo, se ci pensate bene, non avere sogni potrebbe anche essere un vero problema..ma avere un sogno nel cassetto è soltanto una meravigliosa opportunità.

Pensare da Vincente (terzo atto)

Difficile: quante volte lo abbiamo sentito dire? Quante volte lo abbiamo pensato? Difficile da credere, difficile a dirsi, difficile riuscirci.

“Difficile” è una parola che per molti raffigura un ostacolo, se non addirittura una preclusione. A volte utilizziamo questa parola perfino come sinonimo di negazione solo per evitare l’imbarazzo di pronunciare un “NO”: così alla domanda “verrai?” .rispondiamo “..difficile..”.

Eppure, affrontare le difficoltà con consapevolezza rappresenta uno stimolo meraviglioso: l’opportunità di dimostrare a se stessi e agli altri quanto la parola “ difficile” sia sinonimo di “possibile”.

Se scalare gli ottomila (ovvero le montagne più alte del mondo) fosse stato facile, oggi nessuno conoscerebbe Reinhold Messner: il fatto che scalare una montagna come l’Everest sia un’impresa difficile per alcuni e impossibile per altri,  è la ragione per la quale ci sono uomini  che si spingono oltre i propri limiti, fino a realizzare il proprio sogno, attraverso una scrupolosa e sacrificante preparazione  (che può rappresentare la sottile differenza tra tornare trionfanti o non tornare affatto).

Talvolta alcuni campioni crollano nel rendimento in seguito alla perdita delle proprie motivazioni: vincono, stravincono, fino a quando diventa talmente facile che lo stimolo a proseguire perde la sua ragione d’essere. Per questo i migliori sono quelli che riescono a rinnovarsi continuamente, trovando sempre nuovi stimoli, sfide con le quali confrontarsi, rimettendosi in discussione come se ogni primato raggiunto non avesse più alcun valore di riferimento per il futuro.

Così, se vincere diventa più difficile in seguito all’arrivo di un nuovo contendente fuoriclasse, oppure per sopraggiunta anzianità , o in seguito ad un brutto infortunio..qualunque sia la natura della complicazione, per un vincente si tratta di un dono, del sale della vita, della garanzia che il giocattolo ancora non si è rotto e il divertimento non è ancora finito.

La storia è ricca di imprese impossibili riuscite con successo..nello sport come nella vita di tutti i giorni: come Alex Zanardi, tornato a vincere nelle competizioni automobilistiche dopo avere perso le gambe in un terribile incidente (automobilistico), piuttosto che il recente il caso dei minatori Cileni sopravvissuti ad una sepoltura di quasi tre mesi a 700 metri di profondità.

Per questa ragione, quando sentiamo pronunciare (o pronunciamo) la parola “difficile”, pensiamo sempre a quale straordinaria esperienza potremmo trovarci di fronte e quale incredibile opportunità avremo per sperimentare e scoprire le incredibili risorse che la natura ci ha donato per affrontare una vita difficile e piena di soddisfazioni.

Provare a vincere

Mettiamo subito in chiaro una cosa: “provare a vincere” è una contraddizione in termini.

Per permettersi il lusso di ambire a un obiettivo così importante (vincere per vincere) è necessario premunirsi di una congrua dose di autodeterminazione, quanto basta per non prendere minimamente in considerazione l’eventualità che le cose che stiamo per determinare non accadano.

Neuro-linguisticamente parlando, il termine “provare” reca in sé, implicitamente, la possibilità che una determinata cosa che auspichiamo avvenga, possa anche non accadere: tutto questo può anche essere vero ex post, ma non di certo ex ante..e comunque non di certo nella testa di chi ha deciso di mettersi in gioco per ottenere il massimo; insomma, concedersi delle probabilità di successo significa implicitamente accettare anche delle probabilità di insuccesso…distrazione mentale che è distonica rispetto all’obiettivo.

E allora, chi mai dovrebbe scommettere sul nostro inevitabile trionfo se noi stessi per primi lo consideriamo soltanto probabile ??  Senza contare che, se è probabile, può essere altrettanto improbabile..

Nella testa di un campione, l’incertezza non è contemplata: vincere è l’unica opzione possibile; nella testa di un campione il podio ha soltanto uno scalino con il suo nome scolpito in carattere gotico a lettere dorate. Una volta acquisita, pensare da vincenti è un’attitudine mentale che rappresenta una risorsa straordinaria in ogni circostanza quotidiana, dentro e fuori dallo sport: una virtù capace di renderci reattivi e propositivi di fronte a qualsiasi evenienza prevista o imprevista; è la capacità di saper concertare strategie ed azioni sempre orientate a colpire il bersaglio, indipendentemente dalla sua posizione e distanza.

Naturalmente quando parliamo di un Campione, ci riferiamo a qualcuno che ha già appreso la dolorosa e difficile arte di saper perdere: parliamo dell’apprendimento di una virtù che si chiama umiltà; dell’imparare a comprendere i propri sbagli per costruirvi sopra le future strategie vincenti. Parliamo di dedizione, perseveranza, sacrificio, in nome di un sogno che si vuole, fortissimamente, a tutti i costi concretizzare.  In questo il Campione si pone in evidenza sugli altri: perché la sua determinazione permane quando gli altri vacillano, la sua mente resta forte e lucida anche quando il fisico è più debole, affinché ogni più piccola risorsa disponibile sia reclutata con il massimo impegno per il raggiungimento del massimo risultato possibile.

Per vincere, allenarsi non è solo questione di quantità ma soprattutto di qualità: per un atleta vincente , la concentrazione che precede il gesto atletico è sacra e indispensabile per la perfetta esecuzione tecnica.

Ovviamente, vincere non è un concetto assoluto: qualunque esso sia,  la vittoria è il raggiungimento di un obiettivo specifico che ci proponiamo di raggiungere: se il 50° posto del ranking di un determinato sport rappresentasse (in un determinato momento) il nostro reale potenziale esprimibile, piazzarsi al 57° posto non rappresenterebbe certo un successo; da quel maledetto 57° posto osserveremmo che qualcun altro è comodamente seduto sulla nostra poltrona n° 50, per nostra e soltanto nostra gentile concessione; dovremmo pensare che se lui è seduto lì, dove avremmo dovuto essere seduti noi, non è per suo merito perché è stato molto bravo, ma perché noi non lo siamo stati abbastanza. Ed allora, andarci a prendere quello che ci spetta dovrà essere la nostra principale ragione di vita (in termini agonistici ovviamente), fino a quando avere conquistato la 50a posizione del ranking avrà voluto dire avere vinto, avendo centrato il massimo risultato raggiungibile alla nostra portata

E poiché la vittoria ha un sapore che tende a sfumare presto, lavorare per andare oltre, sarà l’unico modo per ravvivarne il gusto..

Certamente per mettere in pratica tutto questo e determinare quello che si chiama “vantaggio competitivo”, ci sono tanti piccoli segreti che in questa sede non posso certo svelare.. Tuttavia,  una cosa è certa:

per “provare”, esistono gli allenamenti: le gare, servono solo per “vincere”. Inevitabilmente.

Rabbia, paura ed autocontrollo

Avere autocontrollo significa possedere una grande virtù, estremamente utile per affrontare e gestire adeguatamente i momenti più difficili.

Quello che è importante capire è che tale virtù non è necessariamente un dono di nascita ma un’attitudine che può essere studiata, desiderata, appresa e sviluppata.

Innanzi tutto sfatiamo il mito che vuole descrivere coloro che possiedono un grande autocontrollo, persone senza paura e prive di sentimenti negativi: a cosa servirebbe allora avere autocontrollo se non ci fosse nulla da tenere sotto controllo? Che bisogno avremmo di gestire la paura se ne fossimo privi a prescindere?

Ecco che allora chiunque fosse portatore di grande autocontrollo, sarebbe certamente una persona che avrebbe largamente sperimentato cose come la “paura vera” , come pure altri poco nobili sentimenti quali l’odio e la rabbia..

Tutto questo accade perché la natura ce lo impone: esiste il giorno e la notte, il caldo ed il freddo, il bello ed il brutto, il giusto e lo sbagliato..tutta la nostra vita si svolge a cavallo di fattori diametralmente opposti e differenti, con i quali tentiamo quotidianamente di stabilire un equilibrio, che sia congruente con i nostri valori, la nostra identità, le nostre ambizioni.

Sentimenti apparentemente negativi come la rabbia o la paura, hanno l’importantissima funzione di comunicarci dei messaggi che potrebbero rivelarsi vitali per la nostra sopravvivenza: è grazie alla paura di perdere i nostri figli che siamo premurosi e vigili; ed è imparando ad autocontrollarci che evitiamo di sconfinare in comportamenti eccessivi, ossessivi e controproducenti, che finirebbero per trasmettere incertezza, instabilità e timore di ogni minima cosa. La rabbia invece, talvolta ci aiuta a scoprire quanto una cosa fosse veramente importante per noi, rendendoci più consapevoli delle nostre fragilità ma anche della nostra determinazione a diventare più forti.

Per questo, imparare la difficile arte del gestire convenientemente le proprie emozioni, è fondamentale per crescere, maturare e rafforzarsi in modo sano e virtuoso.

Risolvere civilmente un conflitto interpersonale, affrontare efficientemente un compito in classe, scattare al momento giusto dai blocchi di partenza dei 100mt piani, frenare l’impulso di strangolare la suocera, sono solo alcune delle migliaia di azioni che ogni giorno tentiamo di  gestire responsabilmente e comunque nel nostro interesse. Non a caso, la prima cosa da imparare a fare per acquisire il controllo delle nostre azioni è chiedersi sempre quali benefici ci porterà ciò che stiamo per fare e se sia la cosa più giusta per noi: domandarsi se non ci siano altre possibili opzioni più compatibili con i nostri interessi; tentare di esplorare le possibili conseguenze per valutarne l’impatto sul presente e nel futuro; infine agire nella modalità che abbiamo individuato come più opportuna per le circostanze.

Ovviamente quando siamo in condizioni di stress tutto questo andrebbe elaborato in pochi istanti..ma come ho detto, l’autocontrollo è qualcosa alla quale occorre educarsi (o essere educati) affinché diventi parte del nostro patrimonio comportamentale più spontaneo.

Come la PNL insegna, a volte può essere utile ispirarsi a qualcuno che conosciamo ed al quale attribuiamo determinate doti, in modo da riprodurre quel determinato comportamento che consideriamo vincente per affrontare una determinata circostanza (per la quale riteniamo di non avere abbastanza risorse per uscirne bene).

Personalmente, vengo da una famiglia in cui l’autocontrollo era un pilastro fondamentale dell’educazione, con il quale coincidevano anche dei valori importanti come la giustizia e la non violenza: “se pensi di essere nel giusto, per quale ragione devi dimostrarlo con un linguaggio violento che è tipico di chi non ha argomenti validi?”  Così, associare la calma con la “virtù dei forti” e la rabbia incontrollata con il tipico “comportamento da deboli”, può ulteriormente motivare il percorso di crescita verso la consapevole determinazione delle proprie azioni.

E a pensarci bene, anche una famosa pubblicità di pneumatici recitava: “la potenza è nulla senza il controllo”…

Pensare da Campione (atto secondo)

Valentino Rossi oggi dovrebbe decidere il suo possibile rientro al Gran Premio di Germania che si correrà domenica prossima, a poco più di un mese dal terribile incidente in cui si procurò la frattura esposta di tibia e perone. A prescindere dal fatto che  rientri a correre proprio questo gran premio oppure il prossimo, la cosa evidenzia due aspetti:

1)      il primo la dice lunga sui progressi della medicina e della chirurgia ortopedica in particolare; stiamo parlando di una gamba spezzata, le cui ossa sono addirittura fuoriuscite dalla carne e dalla pelle; una frattura scomposta ed esposta, sistemata con viti al titanio come una volta si sarebbe rappresentato in un film di fantascienza, fatto di androidi–replicanti. Chi non ha visto le foto del suo recente test alla pista di Misano, sappia che parliamo di un ragazzo che si è presentato davanti alla moto-razzo in tuta “spaziale” e stampelle ortopediche: una scena surreale per l’incongruenza dell’insieme; sembrava più una delle sue solite pantomime che una cosa vera.

2)      e restando in tema di androidi, per chi lo ha visto, Valentino ricorda le qualità del personaggio-androide “Sonny” del film  “I-Robot”: un androide molto diverso da tutti i suoi simili perché oltre alle qualità fisiche sovraumane, tipiche della sua specie, era stato anche dotato della capacità di provare emozioni, tanto che Valentino ha capacità di concentrazione e calcolo che sono paragonabili alla freddezza di un killer, se non fosse per quanto cuore mette in tutto ciò che fa.

Per chi conosce bene gli sport “pericolosi”  praticati  ad alti livelli, è noto che a parità di gravità di un incidente da cui si può guarire i traumi migliori siano quelli cranici…perché il cervello a un certo punto “stacca la spina” e l’atleta non ricorda l’accaduto, tanto meno la sua dinamica. Questo caratteristico tipo di amnesia, è il meccanismo celebrale che ha permesso a tanti piloti di tornare in pista dopo incidenti a dir poco terribili quanto spettacolari.

Nel caso del pilota di Tavullia questo non vale: il pilota della Yamaha ha vissuto ogni istante della sua drammatica caduta, rimanendo lucido dalla perdita del controllo della sua moto fino al trasporto in ospedale. In questo caso, per Continue reading

Sognare nello Sport

Sognare è un’attività celebrale che tutti svolgono..ma pochi apprezzano per i benefici che può rappresentare.I sogni a volte ci dicono molto delle cose a cui pensiamo o sulle quali è molto impegnato il nostro inconscio. Ma a parte questo, l’aspetto che spesso sottovalutiamo è che il sogno è un modo per vivere esperienze di ogni genere senza che il nostro corpo debba necessariamente essere coinvolto. Ovviamente, non sto dicendo che il sogno avvenga al di fuori del nostro corpo, ma certamente se sognassimo di camminare il nostro corpo non sarebbe impegnato a farlo..non in quel momento.Ma la cosa più interessante avviene quando sogniamo di fare qualcosa che dubitiamo di saper fare bene nella realtà: è qualcosa di straordinario perché il sogno ci permette di esplorare e sperimentare cose anche molto impegnative o rischiose in assoluta sicurezza.

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I paradossi della natura umana

Uno dei temi più trattati dal Coaching è il cambiamento: che questo sia di natura professionale o privata, riguarda comunque un conflitto interno alla natura umana, da sempre.

Eppure, osservando la natura umana stessa, la storia dell’uomo comincia, prosegue e finisce attraverso un numero incalcolabile di continui cambiamenti: a partire dall’embrione, alla formazione dell’individuo, la storia di una persona è accompagnata dal persistente variare di ogni possibile cosa dentro di se, quanto fuori di se. Nel senso che il nostro cambiamento avviene all’interno di un contesto altrettanto in divenire. Cambiano i tempi in cui viviamo, cambiano le condizioni atmosferiche, cambiano i luoghi che frequentiamo, cambiano le leggi, le strade, le tecnologie, le culture. Non c’è nulla che resti immutato: perfino la roccia, modifica la sua forma sotto la continua percussione delle piogge.

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Pensare da Campione

La pubblicità di una nota marca di orologi recitava: “calcoliamo il centesimo di secondo che separa chi vince da chi partecipa”. Lo sport agonistico è competizione e si compete per vincere, non certo per partecipare: magari alle olimpiadi sarà importante esserci…ma non certo quanto per  salire sul più alto gradino del podio. Dopo tutto se ci si allena per giorni, settimane, mesi ed anni, è per la voglia di primeggiare prevalendo su tutto e su tutti: che siano gli altri, un destino avverso, un pronostico sfavorevole, vincere è la più gratificante ed appariscente forma di autoaffermazione. Ma quanti si allenano a vincere? Pochi, perché per primeggiare in qualsiasi sport (come nella vita) la cosa più importante da allenare è la testa. Continue reading

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