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La normalità è un’illusione

La normalità non esiste,
si tratta di un’idea soggettiva, una personale interpretazione di quella che chiamiamo realtà. Voler tornare alla normalità significa voler tornare a un passato negando che il futuro possa essere migliore soltanto perché non ci piace il presente. Ma nessuno si chiede cosa ci stia insegnando questo presente, nessuno lo vuole analizzare per progettare un futuro diverso, che possa essere migliore di oggi e di ieri. Perché non ci si chiede come siamo arrivati a tutto questo? Perché dovremmo prenderci una quota pro capite di responsabilità per il buco dell’ozono, per lo scioglimento dei ghiacci, per la deforestazione e mille altre calamità umane che hanno costretto un pianeta agonizzante a reagire al più distruttivo dei virus: l’uomo. Ora abbiamo due possibilità: uscire da questa pandemia e ricominciare a devastare il nostro habitat come facevamo normalmente, oppure impegnarci per costruire un mondo più rispettoso di se stesso, in cui il prosperare non passi necessariamente sulla pelle del prossimo. Abbiamo sempre affermato quanto il carattere distintivo della nostra specie fosse l’intelligenza: chissà se il covid-19 ci darà tempo e modo di imparare la lezione per costruire una nuova coscienza, meno arrogante e diversamente normale.

Superare il Corona Virus a piccoli passi

La Pandemia ci ha costretto a cambiare completamente la quotidianità, confinando in casa la maggior parte di noi stravolgendone le abitudini di una intera vita. È normale che in tanti questo si traduca in un ansia dovuta alla frustrazione per le numerose limitazioni alla libertà. Tuttavia se vogliamo superare questa cosa dobbiamo reagire in modo efficace e costruttivo, rimodulando le nostre abitudini in relazione a questo temporaneo stile di vita. Esatto, temporaneo. Questione di mesi? Abbiamo attraversato di peggio: tra guerre mondiali terremoti e altrettante pandemie, il genere umano ce l’ha sempre fatta. La ricetta è sempre stata quella di vivere un giorno alla volta, facendo piccoli passi senza mai fermarsi, tenendo costantemente impegnati corpo e mente in relazione agli spazi fisici disponibili. Nelson Mandela sopravvisse a 27 interminabili anni di angusta prigionia, leggendo tanto e correndo sul posto nella sua minuscola cella sistematicamente tutti i giorni per un’ora, fino a raggiungere la libertà, diventare Presidente del Sud Africa e riunire un popolo storicamente diviso. Se un essere umano ha potuto fare una cosa del genere, allora possiamo farcela anche noi guardando Netflix dal divano del salotto.

Essere all’altezza dei propri allievi

Un insegnante dovrebbe sempre essere all’altezza del proprio incarico, della propria missione (trasmettere la conoscenza, rendere curiosi, trasmettere passione per una disciplina, scolastica o sportiva che sia), dei propri allievi. Continue reading

L’interruttore dell’emotività

Ogni stato d’animo determina automaticamente un comportamento fisiologicamente caratteristico: in un momento di sofferenza o disperazione, assumiamo spontaneamente una postura chiusa, piegata su se stessa, le mani al viso, gli occhi chiusi: l’addome è chiuso e contratto e preme contro il diaframma determinando una respirazione breve e frammentaria, mentre una morsa allo stomaco contribuisce al generale irrigidimento muscolare, a un torpore fisico e mentale che si diffonde in una spirale di malessere che sembra senza fine. Continue reading

Sbagliando si impara

Se errare è umano, allora non c’è nulla di sbagliato.

Errare è alla base del principio dell’apprendimento, è il fondamento dell’evoluzione: provare ripetutamente modalità diverse fino all’individuazione di quella giusta, è il processo che ci permette di progredire. Continue reading

Alex Zanardi Medaglia d’Oro

Alle Paralimpiadi di Londra, alla soglia di 46 anni, Alex Zanardi conquista la medaglia d’oro con la sua handbike sul circuito di Brans Hatch dove ottenne la sua prima pole in Formula 3000 nel 1991. Continue reading

Il linguaggio interiore nello sport

Lavorando con atleti di varia età e sport praticati, ho notato una comune modalità di linguaggio interiore: tutti si ripetevano cosa non fare o cosa evitare con frasi del tipo “non devo fare un’altra brutta figura”…”non devo perdere”…”non devo cadere”, etc..

Da un punto di vista neurolinguistico, questo tipo di focalizzazione è caratteristico di un approccio (verso se stessi e gli altri) negativo e controproducente, in quanto porta ad allontanarsi da qualcosa di sgradevole anziché spingersi verso qualcosa di piacevole,  con una dialettica che più di privilegiare l’azione “propositiva” evoca la fuga, o il contenimento dei danni collaterali (in quanto augurarsi di non fare un’altra brutta figura non implica necessariamente il contrario, tanto che abbiamo coniato la cosiddetta “prestazione incolore”..). Inoltre, la parola “devo” presuppone la presenza di una auto-imposizione e non di una volontà tipica del desiderare fortemente qualcosa: dire “devo studiare” anziché “voglio studiare”, evidenzia l’impegno in un’attività non desiderata, uno sforzo dedicato a soddisfare più l’esigenza di altri (per esempio i genitori) che la propria. Lo sport agonistico, a meno che non sia stato (malauguratamente) imposto ai figli dai propri genitori, è l’espressione di un profondo desiderio di eccellere attraverso un continuo confrontarsi, con se stessi e con gli altri: è voglia di crescere, migliorarsi e sacrificarsi con passione per il raggiungimento di precisi obiettivi che siano la materializzazione di un’ambizione raggiunta (con il conseguente senso di soddisfazione).

A questo punto verrebbe da pensare che un linguaggio interiore negativo possa essere caratteristico di condizionamenti familiari ma fortunatamente, in molti casi non è così. Si tratta spesso di “programmi difettosi” di cui siamo dotati in origine: per questa ragione siamo più portati a dire “sicuramente le prossime vacanze non le trascorrerò in montagna”, anziché “stavolta voglio proprio andare al mare”.. Siamo fatti così, ci esprimiamo inconsapevolmente così e altrettanto inconsapevolmente condizioniamo i nostri comportamenti attraverso le cose che pronunciamo, ad alta voce o dentro di noi.

Conoscere questo piccolo “bug” e “riprogrammare” il nostro linguaggio in modo diverso, è possibile e può senz’altro fare la differenza.

Imparare a prestare attenzione al linguaggio che utilizziamo quotidianamente ed esercitarsi a “ricondizionarlo in positivo” è un esercizio che potreste scoprire divertente.

Allora, “non chiudere la porta” diventerà “lascia la porta aperta”, mentre nel linguaggio sportivo anziché dire “non ti devi difendere” diremo “devi attaccare!”.. Al pronunciare “non devo essere teso”, sostituiremo un bombardamento di positività con “devo essere rilassato, sereno, più sciolto, in pace con me stesso: questo mi fa sentire calmo, lucido e pronto per dare il massimo”..

Educarsi a questo tipo di linguaggio ha implicazioni molto più potenti di quanto si possa immaginare: è un’auto induzione a cambiare mentalità, modo di pensare e approccio alla vita…un modello esportabile in qualsiasi contesto e circostanza che garantisce risultati che sembravano impossibili.

Lunga vita al Re !

Lo giuro, quando sono uscito dalla sala cinematografica ho pensato: “questo vince di sicuro l’Oscar”…  e non ci voleva certo un critico del settore per capire che il Film “Il discorso de Re” aveva tutte le carte in regola per conquistare il più celebre premio hollywoodiano.

La storia è quella del neo-monarca Giorgio VI e della sua balbuzie, patologia alquanto imbarazzante per un personaggio pubblico come l’Imperatore del Regno Unito, chiamato a comunicare al suo popolo l’ingresso in guerra con la Germania di Hitler.

È un’affascinante percorso attraverso la crescente autodeterminazione a superare i propri limiti per amore del popolo e di quel trono che rappresentava il sacro e inalienabile punto di riferimento dell’orgoglio nazionale. Colin Firth, interpreta magistralmente la lotta tra le proprie frustrazioni e il prepotente desiderio di affrontarle e sconfiggerle, anche accettando con umiltà e fiducia l’aiuto di un altrettanto magistrale logopedista (Geoffrey Rush) dai metodi pragmatici quanto innovativi.  La pellicola regala grandi momenti d’ironia, attraverso battute brillanti (in perfetto english humor), in un crescendo entusiasmante in cui il rapporto empatico che viene a stabilirsi tra i due protagonisti determinerà il più prezioso presupposto per il raggiungimento del comune obiettivo: dare voce al Sovrano.

Per certi aspetti, questo logopedista ispira i futuri principi del Coaching moderno,  così determinato a portare in superficie le qualità che il suo cliente, inconsapevolmente, teneva nascoste dentro di sé, a prescindere anche dai limiti che la stessa balbuzie comportava: la capacità di provocare, sfidare, stimolare il suo assistito pur mantenendo vigile e presente il rispetto per la persona, tanto come Re, quanto come uomo; la sobrietà nell’affiancare con discrezione, senza mai invadere la scena, trasmettendo quel senso di partnership, di rassicurante presenza su cui contare, senza pretendere di essere per questo indispensabile.

Il Discorso del Re, è un film che suggerisco di vedere a tutti i colleghi e aspiranti Coach, perché rappresenta una grande lezione di umanità e professionalità per tutti coloro che desiderano eccellere in quelle discipline in cui la relazione interpersonale è fondamentale.

Non ultimo lo consiglio a tutti coloro che desiderano vivere un’avventura fatta di sfide, romanticismo, rabbia, amore, amicizia, dignità e non ultimo, brillante umorismo.

Sublime quando subito dopo il discorso radiofonico alla nazione, il Re confida al suo amico logopedista: “ho commesso due piccole incertezze..ma volevo che sapessero che ero veramente io (a parlare)”.. ovvero, come fare di un proprio difetto una virtù, un segno distintivo, conoscendo bene la “mappa” che gli altri si sono fatti di noi..

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