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Il linguaggio interiore nello sport

Lavorando con atleti di varia età e sport praticati, ho notato una comune modalità di linguaggio interiore: tutti si ripetevano cosa non fare o cosa evitare con frasi del tipo “non devo fare un’altra brutta figura”…”non devo perdere”…”non devo cadere”, etc..

Da un punto di vista neurolinguistico, questo tipo di focalizzazione è caratteristico di un approccio (verso se stessi e gli altri) negativo e controproducente, in quanto porta ad allontanarsi da qualcosa di sgradevole anziché spingersi verso qualcosa di piacevole,  con una dialettica che più di privilegiare l’azione “propositiva” evoca la fuga, o il contenimento dei danni collaterali (in quanto augurarsi di non fare un’altra brutta figura non implica necessariamente il contrario, tanto che abbiamo coniato la cosiddetta “prestazione incolore”..). Inoltre, la parola “devo” presuppone la presenza di una auto-imposizione e non di una volontà tipica del desiderare fortemente qualcosa: dire “devo studiare” anziché “voglio studiare”, evidenzia l’impegno in un’attività non desiderata, uno sforzo dedicato a soddisfare più l’esigenza di altri (per esempio i genitori) che la propria. Lo sport agonistico, a meno che non sia stato (malauguratamente) imposto ai figli dai propri genitori, è l’espressione di un profondo desiderio di eccellere attraverso un continuo confrontarsi, con se stessi e con gli altri: è voglia di crescere, migliorarsi e sacrificarsi con passione per il raggiungimento di precisi obiettivi che siano la materializzazione di un’ambizione raggiunta (con il conseguente senso di soddisfazione).

A questo punto verrebbe da pensare che un linguaggio interiore negativo possa essere caratteristico di condizionamenti familiari ma fortunatamente, in molti casi non è così. Si tratta spesso di “programmi difettosi” di cui siamo dotati in origine: per questa ragione siamo più portati a dire “sicuramente le prossime vacanze non le trascorrerò in montagna”, anziché “stavolta voglio proprio andare al mare”.. Siamo fatti così, ci esprimiamo inconsapevolmente così e altrettanto inconsapevolmente condizioniamo i nostri comportamenti attraverso le cose che pronunciamo, ad alta voce o dentro di noi.

Conoscere questo piccolo “bug” e “riprogrammare” il nostro linguaggio in modo diverso, è possibile e può senz’altro fare la differenza.

Imparare a prestare attenzione al linguaggio che utilizziamo quotidianamente ed esercitarsi a “ricondizionarlo in positivo” è un esercizio che potreste scoprire divertente.

Allora, “non chiudere la porta” diventerà “lascia la porta aperta”, mentre nel linguaggio sportivo anziché dire “non ti devi difendere” diremo “devi attaccare!”.. Al pronunciare “non devo essere teso”, sostituiremo un bombardamento di positività con “devo essere rilassato, sereno, più sciolto, in pace con me stesso: questo mi fa sentire calmo, lucido e pronto per dare il massimo”..

Educarsi a questo tipo di linguaggio ha implicazioni molto più potenti di quanto si possa immaginare: è un’auto induzione a cambiare mentalità, modo di pensare e approccio alla vita…un modello esportabile in qualsiasi contesto e circostanza che garantisce risultati che sembravano impossibili.

Scuola, studenti e insegnanti..

Che oggi il nostro sistema scolastico non goda di ottima salute è abbastanza noto ma è altrettanto vero che in ogni epoca, in ogni scuola, ciascuno di noi ha conosciuto uno o più insegnanti capaci compromettere seriamente la serenità di intere famiglie. E non solo quella.

Averne parlato con qualche giovane adolescente mi ha portato a rivisitare antiche paure e insicurezze acquisite sui banchi di scuola con drammatica progressione, partendo dalle elementari per culminare con le superiori.  Questa circostanza mi ha stimolato a riflettere su un fenomeno storico quanto contemporaneo, con il quale avere imparato a convivere non ci fa onore. Non ha senso parlare di riforme scolastiche se non riflettiamo prima su come interpretiamo i principi pedagogici, etici, morali, educativi, ai quali dovremmo ispirarci in famiglia come nella scuola.

La mia speranza è di fornire qualche utile spunto a insegnanti e genitori, affinché il percorso educativo dei giovani venga praticato con maggiore responsabilità e soprattutto consapevolezza dei possibili risvolti da cui possono derivare certi comportamenti.

Prendiamo un caso tipico fra i tanti: la ragazzina che viene interrogata è una brava studentessa, con ottimi voti in tutte le materie, tranne una in particolare, considerata “la bestia nera per tutta la classe”; ma l’aspetto più rilevante non è che la ragazzina  sia incerta nel rispondere per paura di sbagliare, quanto per le possibili reazioni dell’insegnante.. Cosa mai potrebbe accadere di così terribile da semiparalizzare la capacità di espressione di un giovane individuo? Ve lo dico io: la previsione del conseguente, logorroico, “monologo cattedratico” da Pubblico Ministero che in veste di accusa, arringa la Giuria tracciando il profilo criminale dell’imputato attraverso l’evocazione delle peggiori qualità riconducibili al lato più oscuro della natura umana.  E’ un fiume di parole in piena, che accumula detriti trascinando via tutto ciò che incontra, per trovare la calma soltanto alla fine, una volta sfociato in mare.  E’ un esercizio di auto affermazione, di legittimo dominio auto referenziale, travestito neanche troppo abilmente, da opportuno quanto inevitabile momento educativo.

Apprendo da Virgilio.it che “A pochi giorni dall’inizio degli esami di licenza media e di maturità, sta raccogliendo consensi l’appello di alcuni professori ed intellettuali rivolto ai componenti delle commissioni perché non aiutino gli studenti impegnati nello svolgimento delle prove: in poche ore il documento, realizzato dal “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità”, è stato sottoscritto da oltre 400 prossimi esaminatori.”

Questo è il link dell’intero articolo

http://notizie.virgilio.it/notizie/2011/06_giugno/04/esami-di-stato-400-prof-dicono-basta-agli-aiutini-per-studenti,29902077.html

ma mi domando se l’iniziativa non sia demagogica e intempestiva rispetto ai propositi che promuove: valori come il merito, la rettitudine, il rispetto verso se stessi e gli altri, ovvero il senso della dignità se non quello del buon senso, non dovrebbero essere trasmessi ai ragazzi durante tutto il percorso scolastico? Voglio dire che se i ragazzi danno per scontata l’idea di avvalersi di furbizie e strumenti illeciti, non abbiamo forse già fallito l’obiettivo educativo che è al centro della formazione scolastica?

Se un ragazzo decide di prepararsi agli esami con i peggiori propositi e la migliore tecnologia, o non è stato formato adeguatamente dai suoi insegnanti, oppure ha discutibili inclinazioni genetiche verso la violazione delle regole.  Se si trattasse di un caso isolato, sarebbe una sgradevole ma comprensibile eccezione…ma se fosse un fenomeno sistemico, allora troverei alquanto ipocrita cercare di fermarlo al capolinea, preoccupandosene solo in sede d’esame.

Vorrei partire dal concetto per il quale lo scarso rendimento di una classe rappresenta la scarsa efficienza degli insegnanti e il fallimento della Continue reading

Lunga vita al Re !

Lo giuro, quando sono uscito dalla sala cinematografica ho pensato: “questo vince di sicuro l’Oscar”…  e non ci voleva certo un critico del settore per capire che il Film “Il discorso de Re” aveva tutte le carte in regola per conquistare il più celebre premio hollywoodiano.

La storia è quella del neo-monarca Giorgio VI e della sua balbuzie, patologia alquanto imbarazzante per un personaggio pubblico come l’Imperatore del Regno Unito, chiamato a comunicare al suo popolo l’ingresso in guerra con la Germania di Hitler.

È un’affascinante percorso attraverso la crescente autodeterminazione a superare i propri limiti per amore del popolo e di quel trono che rappresentava il sacro e inalienabile punto di riferimento dell’orgoglio nazionale. Colin Firth, interpreta magistralmente la lotta tra le proprie frustrazioni e il prepotente desiderio di affrontarle e sconfiggerle, anche accettando con umiltà e fiducia l’aiuto di un altrettanto magistrale logopedista (Geoffrey Rush) dai metodi pragmatici quanto innovativi.  La pellicola regala grandi momenti d’ironia, attraverso battute brillanti (in perfetto english humor), in un crescendo entusiasmante in cui il rapporto empatico che viene a stabilirsi tra i due protagonisti determinerà il più prezioso presupposto per il raggiungimento del comune obiettivo: dare voce al Sovrano.

Per certi aspetti, questo logopedista ispira i futuri principi del Coaching moderno,  così determinato a portare in superficie le qualità che il suo cliente, inconsapevolmente, teneva nascoste dentro di sé, a prescindere anche dai limiti che la stessa balbuzie comportava: la capacità di provocare, sfidare, stimolare il suo assistito pur mantenendo vigile e presente il rispetto per la persona, tanto come Re, quanto come uomo; la sobrietà nell’affiancare con discrezione, senza mai invadere la scena, trasmettendo quel senso di partnership, di rassicurante presenza su cui contare, senza pretendere di essere per questo indispensabile.

Il Discorso del Re, è un film che suggerisco di vedere a tutti i colleghi e aspiranti Coach, perché rappresenta una grande lezione di umanità e professionalità per tutti coloro che desiderano eccellere in quelle discipline in cui la relazione interpersonale è fondamentale.

Non ultimo lo consiglio a tutti coloro che desiderano vivere un’avventura fatta di sfide, romanticismo, rabbia, amore, amicizia, dignità e non ultimo, brillante umorismo.

Sublime quando subito dopo il discorso radiofonico alla nazione, il Re confida al suo amico logopedista: “ho commesso due piccole incertezze..ma volevo che sapessero che ero veramente io (a parlare)”.. ovvero, come fare di un proprio difetto una virtù, un segno distintivo, conoscendo bene la “mappa” che gli altri si sono fatti di noi..

La scelta della scuola superiore

Questa volta un tema d’attualità: decidere il proprio futuro a 13 anni.

Il contesto è ovviamente quello del paese Italia, con il suo sistema scolastico/educativo, fatto di fantomatiche riforme, avulso da qualsiasi forma di buon senso e orientamento verso le necessità dei giovani studenti.

Come la PNL insegna, le persone costruiscono le proprie mappe relative a cose e fatti, attraverso le proprie esperienze, determinando così dei modelli di riferimento per orientarsi in futuro.

Scopro così interessanti implicazioni nei criteri che gli adolescenti utilizzano per determinare la scelta della loro futura scuola: per esempio procedendo per esclusione,  individuando la concentrazione di materie antipatiche per Istituto Scolastico. Se è vero che sia tipico per la natura umana enunciare i propri desideri partendo da ciò che non si desidera, ritengo che in questo caso giochi un ruolo più determinante come i giovani abbiano assimilato il valore della scuola attraverso l’esperienza diretta.

Entusiasmarsi studiando le guerre puniche o l’Eneide piuttosto che un’ equazione, richiede il presupposto della consapevolezza nei confronti del possibile utilizzo che si potrà fare di queste conoscenze: consapevolezza che, nella maggior parte dei casi,  è assente, ovvero  mancano le motivazioni che spingono a comprendere l’utilizzo pratico di un insegnamento.

Passare ore sui libri, prima a scuola e poi a casa, senza comprenderne l’utilità è frustrante quanto lo è per un adulto svolgere un lavoro inutile per se stesso e per la comunità. È così che alcune materie finiscono per diventare ostiche e perfino odiate, al punto da diventare un elemento discriminante nella scelta di una scuola.

Ma se appassionare gli studenti con quale che sia la materia, resta un tema da sviluppare a parte, resta fondamentale aiutarli a capire che il criterio di una scelta deve basarsi sulle proprie inclinazioni, gusti, capacità, desideri, sogni da realizzare: partire dal “cosa vorrei fare” anziché “cosa non voglio fare”; proseguire con il “cosa vorrei diventare”, piuttosto che il contrario.  Le loro potenzialità non dovrebbero essere influenzate dal desiderio che alcuni genitori hanno di essere emulati (“sono un avvocato di successo ed anche mio figlio lo sarà”),  come pure sarebbe opportuno resistere al desiderio di seguire i compagni di scuola più simpatici, accodandosi alle loro scelte, come se un indirizzo di studi valesse qualsiasi altro.

Cinque anni alle superiori volano quando li guardi da un età adulta…ma quando ti ci trovi dentro sembrano un’eternità se ogni mattina ti devi svegliare con l’incubo di un’interrogazione di cui già preconizzi l’esito catastrofico.

Lasciate che i vostri ragazzi trovino la strada migliore seguendo le proprie attitudini: incoraggiateli ad esplorare i propri desideri e a verificare le proprie qualità, ad enunciare i propri sogni e a immaginarsi in un futuro prossimo in cui realizzarli.

Permettete loro di informarsi, presso le scuole e presso amici che già le frequentano: date la giusta importanza alla curiosità con cui indagheranno, alla sensibilità con la quale valuteranno le proprie esigenze rispetto alle opportunità da cogliere.

Certamente avranno già molti preconcetti da affrontare..ma la giovinezza è uno stato di grazia che concede tutte le risorse necessarie per superarli.

Avere obiettivi nella vita

Un obiettivo è la rappresentazione futura di come vorremmo evolvere il nostro presente, o come nel presente vorremmo che fosse il nostro futuro, qualificandolo con un preciso traguardo: oggi ho la febbre ma per giovedì prossimo dovrò essere in grado di tornare al lavoro; entro il 20 del mese dovrò avere già raggiunto il budget; voglio iscrivere mio figlio nella scuola migliore..e così via.

Ora, se un obiettivo rappresenta l’ideale soddisfazione di un’esigenza, non avere obiettivi equivarrebbe a non avere esigenze. Ciò nonostante, molte persone affermano di non sapersi porre degli obiettivi, da cui deduco che un’esigenza esiste, ed è quella di sapersene dotare in modo da motivare, stimolare la propria esistenza: mi riferisco a quell’indefinibile sensazione di insoddisfazione di cui molti non sanno dare spiegazioni se non in modo confuso, accennando di essere insoddisfatti, di non sapere bene cosa vogliono, cosa potrebbero fare.

Diciamo subito che allora, più che un fatto di avere le risposte, si tratta di imparare a porsi le domande: perché sono insoddisfatto? Cos’è in particolare che vorrei cambiare della mia vita? Cosa mi piacerebbe fare? Di cosa necessiterei per poterlo fare? Dove potrei reperire le risorse necessarie? Come dovrei gestirle per ottenere ciò che desidero?

Il  Life-Coaching ha un approccio pragmatico perché ha la caratteristica di procedere individuando e qualificando precisi obiettivi da raggiungere: si parte dal prendere coscienza di cosa siamo oggi per arrivare a come vorremmo essere domani, individuando le necessarie risorse interiori che sono funzionali a percorrere questo percorso con successo.

Porsi le domande giuste è quindi importante per accendere quei processi decisionali che sono alla base del cambiamento di cui abbiamo bisogno: capire cosa veramente si vuole e cosa saremmo disposti a fare per ottenerlo, sono i requisiti principali per indirizzare le nostre energie nella giusta direzione; risorse che devono spingere dall’intenzione all’azione attraverso un disegno (strategia) che descriva le modalità precise (tattiche) con le quali ci si propone di raggiungere il traguardo.

Naturalmente, ci sono obiettivi ambiziosi che richiedono tempo, pazienza e perseveranza: può capitare di perdere la focalizzazione per mano della stanchezza, per un calo della motivazione dovuto alla distanza dal risultato da raggiungere ed allora non è solo più questione di dotarsi di obiettivi ma di come restare motivati verso di essi.  In questo caso, un Coach ha pure il compito di affiancare il proprio cliente e sostenerlo incoraggiandolo e mantenendolo motivato e focalizzato sugli obiettivi condivisi. Naturalmente ci sono anche delle tecniche che possono essere utilizzate per agevolare o rafforzare questo processo: per esempio “ancorando” il cliente ai propri obiettivi attraverso oggetti che rappresentino il risultato da raggiungere; se metaforicamente parlando, la Ferrari fosse l’icona rappresentativa del tenore di vita-obiettivo del cliente, tenere in tasca una copia della chiave di questa macchina permetterebbe uno stimolo sensoriale potente e motivante, ogni qual volta questi la osservasse nella sua mano.

La percezione sensoriale ha infatti il potere di facilitare l’elaborazione di un obiettivo in quanto ci permette di rappresentarlo in modo più concreto di quanto non faccia l’immaginazione: ecco perché davanti ad una vetrina, vedendo un bell’oggetto che colpisce i nostri gusti, siamo in grado di determinarci a dire “lo voglio”, esprimendo perentoriamente ed inconsapevolmente la volontà di raggiungere un obiettivo molto specifico che però non ci comporta lo sforzo di individuarlo e qualificarlo.

In tutti gli altri casi però, quando si tratta di affrontare i principali temi della vita, del tipo “cosa vorrei fare da grande”, occorre affrontare l’argomento con metodo e consapevolezza delle possibili conseguenze che possono scaturire da una scelta ben fatta o meno.

Dopo tutto, la vita è bella anche perché non tutto ciò che offre lo espone in vetrina..

La speranza

Anche quest’anno sta per finire e come sempre è tempo di bilanci.

Tra l’altro, il 2010 ha dato i natali a questo Blog da cui spero di avere offerto qualche utile spunto di riflessione ai numerosi avventori che vi sono transitati più o meno regolarmente. L’ultimo spunto che desidero lanciare sul photofinish riguarda proprio la celebrazione del Capodanno, con le sue tradizioni, convinzioni, desideri e buoni propositi, proprio perché l’immaginario collettivo è rappresentato da una “mappa” abbastanza comune e diffusa, che bene descrive il nostro modo di pensare nei confronti del passato, presente e futuro.

Significativa è l’invenzione del tempo, affinché l’uomo potesse orientarsi attraverso gli eventi, con un modello organizzativo che prende il nome di stagioni, anni, mesi, giorni, fino ad arrivare ai millesimi di secondo. In questo modo, il 31 dicembre di ogni anno è come se qualcosa avesse veramente terminato il suo corso..come se la natura potesse predisporci una ricarica nuova da spendere per i successivi 12 mesi: potremmo attribuire i nostri eventuali insuccessi a un anno particolarmente sfortunato e,  naturalmente secondo questa mappa, le nostre speranze verrebbero riposte nel nuovo anno, cui attribuiremmo il potere mistico di determinare la nostra fortuna, come se la vita dipendesse più da fatti esterni che dalla qualità e quantità del nostro operato.

Certo, molti diranno che augurarsi che il nuovo anni ci porti qualcosa di buono è solo un luogo comune, una tradizione popolare e niente altro..ma a guardare i dati di crescita del super enalotto, del win for life e delle diaboliche slot machine che popolano bar e tabaccherie di tutta Italia, direi che il futuro del genere umano si stia attaccando più a un’improbabile speranza che a poche ottimistiche certezze. Non che la fortuna abbia mai avuto un ruolo trascurabile nella vita delle persone..ma almeno ai tempi dei nostri nonni si diceva che aiutava gli audaci, che proprio non sono quelli che oggi comprano il “gratta e vinci” all’ Autogrill..

Eppure se oggi abbiamo l’elettricità, internet, gli aerei di linea che ci portano oltreoceano, l’aria condizionata..se abbiamo sconfitto le malattie di ogni secolo e portato acqua e gas nelle case, lo dobbiamo a uomini e donne che hanno scommesso su qualcosa di più che un numero della roulette: parlo di persone che hanno creduto fortemente nelle infinite potenzialità dell’essere umano  dedicando ogni propria risorsa per individuare le possibili soluzioni ai disagi di ogni tempo, se non per migliorare la qualità di vita della specie.

Dedico queste righe ai medici e paramedici che militano negli ospedali africani dove non c’è tempo per aspettare un colpo di fortuna e dedico queste riflessioni a chiunque si trovi per scelta ad operare dove soltanto sperare nel nuovo anno non allevierà le sofferenze dei più deboli. Desidero onorare chi, per fede, per coraggio, per solidarietà, si mobilita ogni giorno per fare di questo pianeta un posto migliore in cui vivere, spinto dalla convinzione che avremmo già le risorse necessarie per riuscirci se soltanto ci  impegnassimo tutti insieme. Per inseguire questo sogno non occorre necessariamente essere scienziati, astronauti, medici o ingegneri: basterebbe capire meglio il valore della vita, apprezzarne la sua varietà, rispettandone i valori, condividendo risorse ed obiettivi per offrire una esistenza dignitosa a tutti.

E allora Buone Feste, soprattutto alle donne e agli uomini di buona volontà che sono oggetto delle altrui speranze.

il problem solving e la parabola del barometro

Per la maggior parte di noi, risolvere un problema è un compito più legato a un metodo che all’ingegno: è più correlato con l’apprendimento e la messa in opera di un determinato protocollo comportamentale che alla capacità di riflettere, immaginare ed elaborare varie possibilità d’intervento tra le quali individuare quella che sembra più appropriata al caso.

Dopotutto non è un caso se coniamo proverbi del tipo: chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova..  siamo attaccati alle nostre piccole grandi certezze e ci sentiamo confortati da questo bagaglio di ovvietà fino a quando, inevitabilmente qualcosa interviene dimostrandoci che la vita è fatta di continui mutamenti ai quali sottrarsi è impossibile per chiunque.

Pertanto, soluzioni vecchie, che su un determinato contesto hanno sempre funzionato, non è detto che non possano fallire: magari il campo è lo stesso, la squadra anche, gli avversari pure..ma un diverso allenatore potrebbe sconvolgere un risultato apparentemente scontato; oppure quel giorno gli avversari sono più forti della stagione precedente..tutto può cambiare..e allora diventa importante saper improvvisare nuove e diverse soluzioni, reazioni, comportamenti, per trovare quel qualcosa che può essere funzionale e complementare a quel qualcos’altro. Insomma, la quadratura del cerchio, la tessera del mosaico, l’incastro del puzzle.

Per sua natura, la mente umana, tende sempre a cercare tra le proprie esperienze quella che somiglia di più alla situazione presente che sta vivendo, nel tentativo di individuare immediatamente un comportamento adatto alla circostanza: se la soluzione più evidente non funzionasse però, allora dovrebbe appellarsi al suo lato creativo, che sempre in virtù dell’esperienze vissute, dovrebbe sforzarsi per trovare altre possibilità di successo. In questo campo è interessante notare come di fronte alla scarsità di idee, nel momento in cui in un gruppo qualcuno ne trova una, immediatamente altri individui ne trovano altre, come se più che un problema di esplosivo si trattasse di un problema di innesco. Certamente questo dimostra che la creatività ha spesso bisogno di stimoli esterni..tuttavia domandiamoci chi stimolerà mai il primo individuo? Magari la natura, un rumore o un’immagine..tuttavia è certo che chi possiede una spiccata attitudine nel trovare soluzioni, ha una mentalità molto aperta sia verso l’esterno che l’interno: ovvero una capacità di cogliere gli stimoli esterni e nel contempo saper rimettere in discussione ogni certezza acquisita affinché si possano generare nuovi schemi con la massima flessibilità.

A questo proposito, quello che segue è un simpatico racconto che ho conservato da diversi anni, immaginando che un giorno avrei potuto condividerlo per uno scopo meno ovvio delle quattro risate che è in grado di regalare.

Qualche tempo fa venni chiamato da un collega che mi chiedeva se potevo assisterlo nel valutare una risposta ad una domanda d’esame. Egli intendeva dare uno zero ad uno studente per una sua risposta ad un test di fisica, mentre lo studente sosteneva di meritare il massimo dei voti, e che così
sarebbe stato se il sistema non fosse stato truccato a svantaggio degli studenti. Sia lo studente che l’insegnante concordarono di accettare il giudizio di un giudice imparziale, ed io venni scelto per questo.
Andai nell’ufficio del mio collega e lessi la domanda dell’esame: “Dimostrare come sia possibile determinare l’altezza di un edificio con l’aiuto di un barometro”. Lo studente aveva risposto: “Portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una lunga corda, calarlo fino alla strada e poi tirarlo su, misurando la lunghezza della corda. La lunghezza della corda equivale all’altezza dell’edificio.” Io feci presente che lo studente aveva effettivamente delle buone ragioni dalla sua, considerando che davvero aveva risposto alla domanda completamente e correttamente. D’altra parte, se gli fosse stato dato il massimo dei voti, questo avrebbe contribuito alla valutazione positiva della sua preparazione in fisica. Una valutazione positiva dovrebbe certificare una competenza nel campo della fisica, e la risposta non corroborava questa ipotesi. Suggerii perciò che allo studente venisse concessa una seconda possibilità per rispondere alla domanda.
Non mi sorprese quando mio collega si disse d’accordo, ma mi sorprese quando fu lo studente a dichiararsi d’accordo. Diedi perciò sei minuti allo studente per rispondere alla domanda, con l’avvertimento preventivo che la risposta avrebbe dovuto dare prova delle sue conoscenze di fisica. Alla fine dei primi cinque minuti, non aveva ancora scritto nulla. Gli chiesi se volesse ritirarsi, ma rispose di no. Aveva un sacco di risposte al problema, stava solo pensando a quale fosse la migliore. Gli chiesi scusa per averlo interrotto e lo pregai di continuare.
Nel minuto successivo, scrisse fulmineamente una risposta che diceva: Portate il barometro in cima all’edificio e sporgetevi in fuori oltre l’orlo del tetto. Lasciate cadere il barometro, cronometrandone la caduta e quindi, usando la formula x =0.5*a*t^2, calcolare l’altezza dell’edificio.”
A quel punto, chiesi al mio collega se volesse arrendersi. Lui accettò, concedendo allo studente quasi il massimo dei voti. Mentre me ne stavo andando dall’ufficio del collega, mi ricordai che lo studente aveva detto che aveva altre risposte al problema, e gli chiesi quali fossero.
“Beh,” disse lo studente “ci sono molti sistemi per scoprire l’altezza di un edificio usando un barometro.” “Per esempio si può portar fuori il barometro in una giornata di sole, e misurare l’altezza del barometro, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra dell’edificio, e poi, usando una semplice proporzione, determinare l’altezza dell’edificio.”
“Bene,” gli dissi “e ci sono altre risposte?” “Certo,” disse lo studente “C’è un sistema di misura molto semplice che le piacerà. In questo metodo, si prende il barometro, e si cominciano a salire le scale. Salendo le scale, si segna con un tratto la lunghezza del barometro sulla parete. Poi si contano le tacche, e questo le fornisce l’altezza dell’edificio in barometri.” “Un metodo molto diretto.”
“Naturalmente Se vuole un metodo più sofisticato, può legare il barometro ad un pezzo di spago, farlo dondolare come un pendolo, e determinare il valore di g a livello strada ed in cima all’edificio. Dalla differenza dei due valori di g, si può calcolare, in linea di principio, l’altezza dell’edificio.”
“Parimenti, si può portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una corda lunga, calarlo fin quasi a livello strada e poi farlo oscillare come un pendolo. Si può calcolare l’altezza dell’edificio dal periodo della precessione.” “Infine,” concluse, “ci sono molti altri metodi per risolvere il problema.
Probabilmente il migliore”, disse, “consiste nel portare il barometro nello scantinato, e bussare alla porta del custode quando il custode apre, gli si dice così:’Signor Custode, ecco qui un bel barometro. Se lei mi dice l’altezza dell’edificio, glielo regalo.”
A questo punto, chiesi allo studente se davvero non conoscesse la risposta convenzionale alla domanda. Lui ammise di conoscerla, ma disse che si era francamente stufato di docenti universitari che cercavano di insegnargli come pensare.

Quante volte a scuola ci hanno spiegato le finalità per le quali dovevamo sottoporci agli studi di una materia o di un argomento?

Avete mai sentito un’insegnante di geografia parlare di jet lag?  Sicuramente la spettacolare reazione delle Mentos nella Coca Cola non l’avrete appresa dal prof. di chimica, ne’ quello di fisica vi avrà parlato di balistica spiegando che il tappo di uno spumante d’Asti nel primo metro di percorrenza raggiunge i 200km/h , grazie alla pressione (di circa 7 atmosfere) del gas, provocata dalla decomposizione degli zuccheri in fermentazione..

La chiave dell’apprendimento è nel coinvolgimento, nella condivisione che porta alla motivazione, nello stimolo della curiosità che spinge a voler capire per se stessi anziché per la gloria di un voto.  Le capacità di pensiero, riflessione, elaborazione, sono già preinstallate dalla natura e necessitano solo di stimoli per esercitarsi: per un giovane lo stimolo non è l’ipotenusa ma come calcolare il piano inclinato della rampa da skateboard, è studiare l’inglese partendo dai testi del suo cantante preferito, è partire dalla storia più recente per capire perché i suoi nonni dovevano dormire in un rifugio anti aereo, è dibattere sul pessimismo cosmico di Leopardi per confrontarlo con quello della sua adolescenza o della sua civiltà.  Forniamo uno scopo capace di ispirare la curiosità e lo studio di qualsiasi attività umana, affinché la passione guidi i giovani verso la ricerca infinita delle risposte che l’ignoto nasconde..e avremo facilitato lo sviluppo di menti brillanti, sempre tese a capire, con passione e flessibilità, verso se stesse e verso la vita.

impensabile non vuol dire impossibileunthinkable does not mean impossible

Una celebre frase del grande pilota (di automobilismo) Mario Andretti recita: “se hai la sensazione di avere la situazione sotto controllo, evidentemente non stai andando abbastanza veloce..”

Com’è possibile capire se possiamo andare oltre il nostro limite se ancora non l’abbiamo raggiunto??

Che cos’è il limite? In teoria è il punto oltre il quale, in un determinato momento, di fronte a un certo ostacolo, non abbiamo la capacità di andare oltre..in pratica, il limite è un’idea, una convinzione: la nostra personalissima rappresentazione di un luogo, una linea, un punto  oltre il quale riteniamo di non poter andare, tanto con il corpo (pensiamo all’asticella del salto in alto) quanto con la mente (come nel caso di un calcolo matematico di elevata complessità).

Le origini di questo atteggiamento mentale possono essere svariate,  come una scarsa autostima, una discutibile capacità di auto valutarsi, la predisposizione a lasciarsi influenzare dal pessimismo altrui…in ogni caso, è quasi sempre vero che, posti di fronte ad una serie di ostacoli, il primo, il più insormontabile,  è quello che ci siamo creati noi stessi, con le nostre indecisioni, incertezze e fragilità. Ovviamente, una volta stabilita l’inviolabilità dell’ostacolo, l’alpinista cesserà di scalare la montagna, il maratoneta cesserà di correre, lo studente smetterà di studiare, lo scienziato non farà più ricerche, il soldato smetterà di combattere.

La buona notizia è che se il limite è nella nostra mente,  (e credetemi, è li che risiedono la maggior parte degli ostacoli che incontriamo nella vita) esso si trova proprio nel posto meno sicuro per sopravvivere nel tempo.  Se il limite è un’idea, le idee possono cambiare e diventare una fantastica avventura in cui confrontarsi continuamente con se stessi e con il mondo circostante, per sfidare e sfidarsi, crescere ed evolvere.

Dopo tutto, i limiti non sono altro che un codice convenzionale per condividere un parametro che possa, prima o poi, essere infranto.

Per fare questo, bisogna per prima cosa crederlo possibile: come il record dei 200mt. piani stabilito da Mennea nel 1979, poi superato 17 anni più tardi da Michael Johnson; possibile come la scalata delle 14 montagne oltre gli ottomila metri (Reinhold Messner); possibile come sopravvivere due mesi e mezzo, imprigionati in una miniera a 700mt. di profondità (i minatori Cileni). Una volta capito e deciso che questo punto di riferimento è lì solo per essere superato, occorre elaborare una strategia per riuscirci ed applicare ogni tattica possibile, spendendo ogni risorsa disponibile, del corpo e della mente.

Per superare i propri limiti bisogna imparare a conoscerli e l’unico modo per farlo è frequentarli il più possibile, allenandosi con grande impegno ai massimi livelli, per abituarsi a quella zona in cui possibile e impossibile convivono, separati da una membrana invisibile e permeabile, dove vincere o cadere può dipendere da un soffio..

Per questa ragione, anche l’atleta più forte e talentuoso, se in allenamento non cade mai, significa che non sta prendendo confidenza con i propri limiti.. Cadere è una conseguenza dell’osare, del credere possibile, del combattere, del determinarsi a raggiungere l’obiettivo.

Cadere significa avere trovato il limite e finalmente avere visto con chi avere a che fare, per poterlo studiare, affrontare e battere.

Si comincia camminando a malapena sulla trave e si finisce per fare un salto mortale rovesciato sulla corda..e quello che un giorno era impensabile, finisce per diventare possibile. Già, perché spesso le cose che riteniamo impossibili restano tali solo fino a quando le consideriamo impensabili.A famous phrase of the great driver (motor racing) Mario Andretti says: “If you feel that you have the situation under control, you’re not going fast enough ..”
How could we go beyond our limits if we have not reached yet?
What is the limit? In theory, the point beyond which, at a given moment, facing a certain obstacle, we do not have the ability to go further .. in practice, the limit is an idea, a conviction that our own personal representation of a place , a line, a point beyond which we cannot go, nor with the body (think hight jumping stick) neither with the mind (as in the case of a highly complex mathematical calculations).
The origins of this mindset can be varied, such as low self-esteem, a questionable ability to self-evaluation, the tendency to be influenced by the pessimism of others … in any case, it is almost always true that, faced with a series of obstacles, the first, the most intractable is that we have created ourselves, with our indecision, uncertainty and fragility. Of course, once established the inviolability of the obstacle, the climber will cease to climb the mountain, the marathon will cease to run, the student will stop to study, the scientist will cease the research, the soldiers stop fighting.
The good news is that if the limit is in our mind, (and believe me, it’s there that counts most of the obstacles we encounter in life) it is located in the least safe place to survive over time. If the limit is an idea, ideas can change and become a fantastic adventure, an exciting challage with ourself and the surrounding world, to fight and compete, grow and evolve.
After all, the limits are nothing more than a conventional code to share a parameter that can, sooner or later be broken.
To do this, we must first believe it possible: as a record of 200 meters drawn up by Mennea in 1979, then passed 17 years later by Michael Johnson; as possible to climb the 14 mountains over eight thousand meters (Reinhold Messner); possible as survive two and half months, trapped in a mine at 700 mt. depth (Chilean miners). Once understood and agreed that this reference point is there only to be overcome, it must be develop a strategy to succeed and to apply every tactic possible, spending every available resource, related to the body as much as the mind.
To overcome our own limitations we must learn to know them and the only way to do this is to attend them as much as possible, training with great commitment at the highest levels, to get used to the area where possible and impossible live together, separated by an invisible, permeable membrane, where win or fall may depend on a breath ..
For this reason, even the strongest and most talented athlete, whether in training never falls, it means that he is not getting to grips with its limitations .. Falling is a consequence of dare, of  believeing in the human being, of fighting supported by the determination to achieve the goal.
Falling means you have found the limit and finally have seen those who you have something to do, to be able to investigate, compare and defeat.
It barely begins walking on the beam and you end up doing a flip upside down on the rope .. and what a day was unthinkable, ends up as possible. Yeah, because often the things are impossible until we consider them unthinkable.

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