Author: Marco Formica (page 3 of 7)

[:it]Mandare lo sport in fumo[:]

[:it]Durante una risalita in seggiovia (in una nota località sciistica) mi sono ritrovato seduto accanto a tre giovani atleti dello sci, diciamo sui 15-16 anni: uno di questi, abbigliato come un vero campione dello slalom, gustava una sigaretta declamando le sue prodezze quotidiane per eludere i controlli dei genitori. Continue reading

La vita e’ un sogno?

Questo post nasce per caso al bar, dove prendendo il caffè mi è capitato di ascoltare una discussione, apparentemente frivola,  sul tema della vita: ovvero, se questa fosse un sogno o se i sogni aiutassero a vivere.. peraltro, famoso cavallo di battaglia di una nota trasmissione televisiva notturna. Sapendo di avere un appuntamento radiofonico per un’intervista, ho pensato che poteva essere interessante portare un fatto raccolto per strada, in un momento di ordinaria quotidianità. Così ho deciso di approfittare del mio blog per cominciare a scaldarmi un po’ sull’argomento, lasciando affiorare le prime riflessioni che in chiave di programmazione neuro linguistica sono solito elaborare.

Punto primo: la vita non è un sogno (a meno che non si creda di essere nel film MATRIX); certamente può offrirci esperienze talmente belle e avvincenti da spingerci a descrivere paragoni onirici ma solo per la necessità di condividere con gli altri la nostra meraviglia.

Punto secondo: i sogni sono una parte fondamentale e integrante della nostra vita reale; essi appartengono al nostro inconscio e alla necessità di lasciarlo esprimere affinché qualcuna delle sue perle possa raggiungere un qualche livello di consapevolezza, nell’ambito della cosiddetta sfera razionale.

Insomma, i sogni sono reali (fenomeni neurologici) perché avendo luogo nella nostra mente, ci consentono di vivere vere e proprie esperienze sensoriali, fatte di colori, suoni e altro ancora. Certo, sognare di volare non significa avere la capacità di fare altrettanto in questo mondo, così inevitabilmente soggetto alla forza di gravità: tuttavia, sognare di volare è un’esperienza che può influenzare il nostro umore, se non addirittura condizionare un determinato processo decisionale; a quell’esperienza attribuiamo un valore, un significato, che potrebbe scatenare un processo motivazionale tale da spingerci a compiere azioni che prima non avremmo svolto.

Per esempio, io adoro sciare e talvolta mi capita di sognare di farlo, con sensazioni che definirei sublimi, emozionanti, appaganti. Al risveglio, piuttosto che biasimare che si sia trattato “soltanto di un sogno”, preferisco compiacermi e trattenermi ancora un momento per cercare di ripercorrere le fasi più belle di questa esperienza…Poi, mi rendo conto di quanto il mio subconscio abbia voluto segnalarmi l’importante necessità di “staccare” dalla pesante routine quotidiana con qualcosa di assolutamente gratificante.. e finisco per pianificare qualcosa di coerente con l’esigenza che ho compreso di avere. A volte, presi dalla frenesia della quotidianità, ci dimentichiamo di noi stessi, trascurando il bisogno di una pausa, di un’attività che ci rigeneri per affrontare nuovi impegni: in un angolo remoto della nostra mente, in un posto chiamato inconscio, si attiva allora qualcosa che attira la nostra attenzione su quanto d’importante abbiamo trascurato e richiede il nostro intervento; a volte è una strana sensazione con la quale ci svegliamo (e che non sappiamo spiegare), a volte è più esplicitamente un sogno a illuminarci..purché ci trovi disposti ad accettare il sano confronto con noi stessi.

Il linguaggio interiore nello sport

Lavorando con atleti di varia età e sport praticati, ho notato una comune modalità di linguaggio interiore: tutti si ripetevano cosa non fare o cosa evitare con frasi del tipo “non devo fare un’altra brutta figura”…”non devo perdere”…”non devo cadere”, etc..

Da un punto di vista neurolinguistico, questo tipo di focalizzazione è caratteristico di un approccio (verso se stessi e gli altri) negativo e controproducente, in quanto porta ad allontanarsi da qualcosa di sgradevole anziché spingersi verso qualcosa di piacevole,  con una dialettica che più di privilegiare l’azione “propositiva” evoca la fuga, o il contenimento dei danni collaterali (in quanto augurarsi di non fare un’altra brutta figura non implica necessariamente il contrario, tanto che abbiamo coniato la cosiddetta “prestazione incolore”..). Inoltre, la parola “devo” presuppone la presenza di una auto-imposizione e non di una volontà tipica del desiderare fortemente qualcosa: dire “devo studiare” anziché “voglio studiare”, evidenzia l’impegno in un’attività non desiderata, uno sforzo dedicato a soddisfare più l’esigenza di altri (per esempio i genitori) che la propria. Lo sport agonistico, a meno che non sia stato (malauguratamente) imposto ai figli dai propri genitori, è l’espressione di un profondo desiderio di eccellere attraverso un continuo confrontarsi, con se stessi e con gli altri: è voglia di crescere, migliorarsi e sacrificarsi con passione per il raggiungimento di precisi obiettivi che siano la materializzazione di un’ambizione raggiunta (con il conseguente senso di soddisfazione).

A questo punto verrebbe da pensare che un linguaggio interiore negativo possa essere caratteristico di condizionamenti familiari ma fortunatamente, in molti casi non è così. Si tratta spesso di “programmi difettosi” di cui siamo dotati in origine: per questa ragione siamo più portati a dire “sicuramente le prossime vacanze non le trascorrerò in montagna”, anziché “stavolta voglio proprio andare al mare”.. Siamo fatti così, ci esprimiamo inconsapevolmente così e altrettanto inconsapevolmente condizioniamo i nostri comportamenti attraverso le cose che pronunciamo, ad alta voce o dentro di noi.

Conoscere questo piccolo “bug” e “riprogrammare” il nostro linguaggio in modo diverso, è possibile e può senz’altro fare la differenza.

Imparare a prestare attenzione al linguaggio che utilizziamo quotidianamente ed esercitarsi a “ricondizionarlo in positivo” è un esercizio che potreste scoprire divertente.

Allora, “non chiudere la porta” diventerà “lascia la porta aperta”, mentre nel linguaggio sportivo anziché dire “non ti devi difendere” diremo “devi attaccare!”.. Al pronunciare “non devo essere teso”, sostituiremo un bombardamento di positività con “devo essere rilassato, sereno, più sciolto, in pace con me stesso: questo mi fa sentire calmo, lucido e pronto per dare il massimo”..

Educarsi a questo tipo di linguaggio ha implicazioni molto più potenti di quanto si possa immaginare: è un’auto induzione a cambiare mentalità, modo di pensare e approccio alla vita…un modello esportabile in qualsiasi contesto e circostanza che garantisce risultati che sembravano impossibili.

Scuola, studenti e insegnanti..

Che oggi il nostro sistema scolastico non goda di ottima salute è abbastanza noto ma è altrettanto vero che in ogni epoca, in ogni scuola, ciascuno di noi ha conosciuto uno o più insegnanti capaci compromettere seriamente la serenità di intere famiglie. E non solo quella.

Averne parlato con qualche giovane adolescente mi ha portato a rivisitare antiche paure e insicurezze acquisite sui banchi di scuola con drammatica progressione, partendo dalle elementari per culminare con le superiori.  Questa circostanza mi ha stimolato a riflettere su un fenomeno storico quanto contemporaneo, con il quale avere imparato a convivere non ci fa onore. Non ha senso parlare di riforme scolastiche se non riflettiamo prima su come interpretiamo i principi pedagogici, etici, morali, educativi, ai quali dovremmo ispirarci in famiglia come nella scuola.

La mia speranza è di fornire qualche utile spunto a insegnanti e genitori, affinché il percorso educativo dei giovani venga praticato con maggiore responsabilità e soprattutto consapevolezza dei possibili risvolti da cui possono derivare certi comportamenti.

Prendiamo un caso tipico fra i tanti: la ragazzina che viene interrogata è una brava studentessa, con ottimi voti in tutte le materie, tranne una in particolare, considerata “la bestia nera per tutta la classe”; ma l’aspetto più rilevante non è che la ragazzina  sia incerta nel rispondere per paura di sbagliare, quanto per le possibili reazioni dell’insegnante.. Cosa mai potrebbe accadere di così terribile da semiparalizzare la capacità di espressione di un giovane individuo? Ve lo dico io: la previsione del conseguente, logorroico, “monologo cattedratico” da Pubblico Ministero che in veste di accusa, arringa la Giuria tracciando il profilo criminale dell’imputato attraverso l’evocazione delle peggiori qualità riconducibili al lato più oscuro della natura umana.  E’ un fiume di parole in piena, che accumula detriti trascinando via tutto ciò che incontra, per trovare la calma soltanto alla fine, una volta sfociato in mare.  E’ un esercizio di auto affermazione, di legittimo dominio auto referenziale, travestito neanche troppo abilmente, da opportuno quanto inevitabile momento educativo.

Apprendo da Virgilio.it che “A pochi giorni dall’inizio degli esami di licenza media e di maturità, sta raccogliendo consensi l’appello di alcuni professori ed intellettuali rivolto ai componenti delle commissioni perché non aiutino gli studenti impegnati nello svolgimento delle prove: in poche ore il documento, realizzato dal “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità”, è stato sottoscritto da oltre 400 prossimi esaminatori.”

Questo è il link dell’intero articolo

http://notizie.virgilio.it/notizie/2011/06_giugno/04/esami-di-stato-400-prof-dicono-basta-agli-aiutini-per-studenti,29902077.html

ma mi domando se l’iniziativa non sia demagogica e intempestiva rispetto ai propositi che promuove: valori come il merito, la rettitudine, il rispetto verso se stessi e gli altri, ovvero il senso della dignità se non quello del buon senso, non dovrebbero essere trasmessi ai ragazzi durante tutto il percorso scolastico? Voglio dire che se i ragazzi danno per scontata l’idea di avvalersi di furbizie e strumenti illeciti, non abbiamo forse già fallito l’obiettivo educativo che è al centro della formazione scolastica?

Se un ragazzo decide di prepararsi agli esami con i peggiori propositi e la migliore tecnologia, o non è stato formato adeguatamente dai suoi insegnanti, oppure ha discutibili inclinazioni genetiche verso la violazione delle regole.  Se si trattasse di un caso isolato, sarebbe una sgradevole ma comprensibile eccezione…ma se fosse un fenomeno sistemico, allora troverei alquanto ipocrita cercare di fermarlo al capolinea, preoccupandosene solo in sede d’esame.

Vorrei partire dal concetto per il quale lo scarso rendimento di una classe rappresenta la scarsa efficienza degli insegnanti e il fallimento della Continue reading

Il linguaggio nelle situazioni di potenziale pericolo in montagna

Recentemente ho partecipato a un corso di specializzazione di Free Ride (riservato ai Maestri di Sci), ovvero sciare in fuori pista dove è possibile arrivare con l’elicottero (Heli Ski) oppure dopo una lunga marcia con zaino e sci in spalla.

E’ uno sport straordinario che si pratica in scenari meravigliosi dove però il pericolo è sempre in agguato: slavine, valanghe e strapiombi sono soltanto alcune delle minacce potenziali che si possono presentare in determinate circostanze…e allora diventa fondamentale conoscere le regole che determinano la maggiore sicurezza possibile per prevenire tutte quelle minacce che possono trasformare una meravigliosa esperienza in un incubo senza fine.

Come accennavo in un precedente articolo (Parlare positivo), per natura siamo portati a esprimerci in negativo: “NON tornare tardi!”..”NON correre!”…”NON voglio perdere la partita””NON devo sbagliare”

La nostra mente è programmata per  focalizzarsi sulle “parole chiave”, per cui dirsi “NON devo pensare sempre ai PROBLEMI” equivale a restare inconsapevolmente concentrati sui propri problemi.

Per questa ragione dire “torna presto” ha un effetto di gran lunga più efficace del “non fare tardi”, in quanto proiettiamo dentro di noi ciò che è utile fare anziché ciò che vorremmo evitare: è slanciarsi in modo costruttivo verso ciò che vogliamo, anziché enunciare passivamente cosa non vogliamo. Dire che non vogliamo trascorrere le vacanze al lago non produce alcuna azione e resta un’asserzione incompleta: dire che vogliamo andare al mare a fare surf è un’affermazione propositiva, dinamica (riguarda il fare), che rispecchia un obiettivo reale che vorremmo raggiungere.

Nelle situazioni di possibile pericolo è fondamentale dare istruzioni, chiare, concise e soprattutto POSITIVE:  “ricordatevi di camminare vicino alla parete rocciosa” anziché non camminate lontano dalla parete rocciosa”

C’è di più: spesso capita di comunicare in condizioni acustiche precarie; per una bufera di neve, oppure in prossimità dell’elicottero, o magari alla radio. Ecco che allora può succedere di non percepire alcune parole che compongono la frase. Per esempio, se via radio diciamo al nostro collega che è in elicottero “non aprire il portello!”..se la parola “NON” venisse tagliata dalla trasmissione radio,  il messaggio giungerebbe con il significato opposto.  Pensate a “ mi raccomando non spingere il pulsante rosso” che diventa “ –-accomando di – spingere –l pulsante rosso!” ..che magari comanda lo sgancio del cestello di salvataggio..!

Un corretto linguaggio, in certe circostanze ha una valenza fondamentale: pensiamo al navigatore dell’equipaggio di una vettura da rally..se questo dicesse “all’incrocio NON girare a destra”, in uno sport dove conta il centesimo di secondo, oltre che pronunciare una frase più lunga (“gira a sinistra” è decisamente più breve), costringerebbe il pilota ad elaborare che girare a destra è sbagliato per cui di conseguenza è giusto girare a sinistra (se nel frattempo non si sono già schiantati tra le due strade).

Sicuramente in ambienti come la montagna ci sono circostanze in cui esprimersi aiutandosi con una buona gestualità (che a volte è molto più chiara di quanto le parole non possano fare) può essere di grande aiuto, specie quando si ha a che fare con gruppi numerosi: in questo caso anche la disposizione dei membri rispetto al leader può essere funzionale alla buona percezione del messaggio; tipo disporsi a ventaglio ( o ferro di cavallo) per creare un anfiteatro umano dal quale ascoltare e osservare il capo squadra.

In ogni caso, tornando al concetto del Linguaggio Positivo, è bene ricordare sempre che chi si esprime dicendo cosa NON vuole, è sempre concentrato sul problema, mentre chi si esprime  dicendo cosa vuole è sempre concentrato sulla soluzione: due atteggiamenti diametralmente opposti che in circostanze critiche possono fare la differenza. Specie se di mezzo c’è una vita in pericolo.

Lunga vita al Re !

Lo giuro, quando sono uscito dalla sala cinematografica ho pensato: “questo vince di sicuro l’Oscar”…  e non ci voleva certo un critico del settore per capire che il Film “Il discorso de Re” aveva tutte le carte in regola per conquistare il più celebre premio hollywoodiano.

La storia è quella del neo-monarca Giorgio VI e della sua balbuzie, patologia alquanto imbarazzante per un personaggio pubblico come l’Imperatore del Regno Unito, chiamato a comunicare al suo popolo l’ingresso in guerra con la Germania di Hitler.

È un’affascinante percorso attraverso la crescente autodeterminazione a superare i propri limiti per amore del popolo e di quel trono che rappresentava il sacro e inalienabile punto di riferimento dell’orgoglio nazionale. Colin Firth, interpreta magistralmente la lotta tra le proprie frustrazioni e il prepotente desiderio di affrontarle e sconfiggerle, anche accettando con umiltà e fiducia l’aiuto di un altrettanto magistrale logopedista (Geoffrey Rush) dai metodi pragmatici quanto innovativi.  La pellicola regala grandi momenti d’ironia, attraverso battute brillanti (in perfetto english humor), in un crescendo entusiasmante in cui il rapporto empatico che viene a stabilirsi tra i due protagonisti determinerà il più prezioso presupposto per il raggiungimento del comune obiettivo: dare voce al Sovrano.

Per certi aspetti, questo logopedista ispira i futuri principi del Coaching moderno,  così determinato a portare in superficie le qualità che il suo cliente, inconsapevolmente, teneva nascoste dentro di sé, a prescindere anche dai limiti che la stessa balbuzie comportava: la capacità di provocare, sfidare, stimolare il suo assistito pur mantenendo vigile e presente il rispetto per la persona, tanto come Re, quanto come uomo; la sobrietà nell’affiancare con discrezione, senza mai invadere la scena, trasmettendo quel senso di partnership, di rassicurante presenza su cui contare, senza pretendere di essere per questo indispensabile.

Il Discorso del Re, è un film che suggerisco di vedere a tutti i colleghi e aspiranti Coach, perché rappresenta una grande lezione di umanità e professionalità per tutti coloro che desiderano eccellere in quelle discipline in cui la relazione interpersonale è fondamentale.

Non ultimo lo consiglio a tutti coloro che desiderano vivere un’avventura fatta di sfide, romanticismo, rabbia, amore, amicizia, dignità e non ultimo, brillante umorismo.

Sublime quando subito dopo il discorso radiofonico alla nazione, il Re confida al suo amico logopedista: “ho commesso due piccole incertezze..ma volevo che sapessero che ero veramente io (a parlare)”.. ovvero, come fare di un proprio difetto una virtù, un segno distintivo, conoscendo bene la “mappa” che gli altri si sono fatti di noi..

La scelta della scuola superiore

Questa volta un tema d’attualità: decidere il proprio futuro a 13 anni.

Il contesto è ovviamente quello del paese Italia, con il suo sistema scolastico/educativo, fatto di fantomatiche riforme, avulso da qualsiasi forma di buon senso e orientamento verso le necessità dei giovani studenti.

Come la PNL insegna, le persone costruiscono le proprie mappe relative a cose e fatti, attraverso le proprie esperienze, determinando così dei modelli di riferimento per orientarsi in futuro.

Scopro così interessanti implicazioni nei criteri che gli adolescenti utilizzano per determinare la scelta della loro futura scuola: per esempio procedendo per esclusione,  individuando la concentrazione di materie antipatiche per Istituto Scolastico. Se è vero che sia tipico per la natura umana enunciare i propri desideri partendo da ciò che non si desidera, ritengo che in questo caso giochi un ruolo più determinante come i giovani abbiano assimilato il valore della scuola attraverso l’esperienza diretta.

Entusiasmarsi studiando le guerre puniche o l’Eneide piuttosto che un’ equazione, richiede il presupposto della consapevolezza nei confronti del possibile utilizzo che si potrà fare di queste conoscenze: consapevolezza che, nella maggior parte dei casi,  è assente, ovvero  mancano le motivazioni che spingono a comprendere l’utilizzo pratico di un insegnamento.

Passare ore sui libri, prima a scuola e poi a casa, senza comprenderne l’utilità è frustrante quanto lo è per un adulto svolgere un lavoro inutile per se stesso e per la comunità. È così che alcune materie finiscono per diventare ostiche e perfino odiate, al punto da diventare un elemento discriminante nella scelta di una scuola.

Ma se appassionare gli studenti con quale che sia la materia, resta un tema da sviluppare a parte, resta fondamentale aiutarli a capire che il criterio di una scelta deve basarsi sulle proprie inclinazioni, gusti, capacità, desideri, sogni da realizzare: partire dal “cosa vorrei fare” anziché “cosa non voglio fare”; proseguire con il “cosa vorrei diventare”, piuttosto che il contrario.  Le loro potenzialità non dovrebbero essere influenzate dal desiderio che alcuni genitori hanno di essere emulati (“sono un avvocato di successo ed anche mio figlio lo sarà”),  come pure sarebbe opportuno resistere al desiderio di seguire i compagni di scuola più simpatici, accodandosi alle loro scelte, come se un indirizzo di studi valesse qualsiasi altro.

Cinque anni alle superiori volano quando li guardi da un età adulta…ma quando ti ci trovi dentro sembrano un’eternità se ogni mattina ti devi svegliare con l’incubo di un’interrogazione di cui già preconizzi l’esito catastrofico.

Lasciate che i vostri ragazzi trovino la strada migliore seguendo le proprie attitudini: incoraggiateli ad esplorare i propri desideri e a verificare le proprie qualità, ad enunciare i propri sogni e a immaginarsi in un futuro prossimo in cui realizzarli.

Permettete loro di informarsi, presso le scuole e presso amici che già le frequentano: date la giusta importanza alla curiosità con cui indagheranno, alla sensibilità con la quale valuteranno le proprie esigenze rispetto alle opportunità da cogliere.

Certamente avranno già molti preconcetti da affrontare..ma la giovinezza è uno stato di grazia che concede tutte le risorse necessarie per superarli.

Avere obiettivi nella vita

Un obiettivo è la rappresentazione futura di come vorremmo evolvere il nostro presente, o come nel presente vorremmo che fosse il nostro futuro, qualificandolo con un preciso traguardo: oggi ho la febbre ma per giovedì prossimo dovrò essere in grado di tornare al lavoro; entro il 20 del mese dovrò avere già raggiunto il budget; voglio iscrivere mio figlio nella scuola migliore..e così via.

Ora, se un obiettivo rappresenta l’ideale soddisfazione di un’esigenza, non avere obiettivi equivarrebbe a non avere esigenze. Ciò nonostante, molte persone affermano di non sapersi porre degli obiettivi, da cui deduco che un’esigenza esiste, ed è quella di sapersene dotare in modo da motivare, stimolare la propria esistenza: mi riferisco a quell’indefinibile sensazione di insoddisfazione di cui molti non sanno dare spiegazioni se non in modo confuso, accennando di essere insoddisfatti, di non sapere bene cosa vogliono, cosa potrebbero fare.

Diciamo subito che allora, più che un fatto di avere le risposte, si tratta di imparare a porsi le domande: perché sono insoddisfatto? Cos’è in particolare che vorrei cambiare della mia vita? Cosa mi piacerebbe fare? Di cosa necessiterei per poterlo fare? Dove potrei reperire le risorse necessarie? Come dovrei gestirle per ottenere ciò che desidero?

Il  Life-Coaching ha un approccio pragmatico perché ha la caratteristica di procedere individuando e qualificando precisi obiettivi da raggiungere: si parte dal prendere coscienza di cosa siamo oggi per arrivare a come vorremmo essere domani, individuando le necessarie risorse interiori che sono funzionali a percorrere questo percorso con successo.

Porsi le domande giuste è quindi importante per accendere quei processi decisionali che sono alla base del cambiamento di cui abbiamo bisogno: capire cosa veramente si vuole e cosa saremmo disposti a fare per ottenerlo, sono i requisiti principali per indirizzare le nostre energie nella giusta direzione; risorse che devono spingere dall’intenzione all’azione attraverso un disegno (strategia) che descriva le modalità precise (tattiche) con le quali ci si propone di raggiungere il traguardo.

Naturalmente, ci sono obiettivi ambiziosi che richiedono tempo, pazienza e perseveranza: può capitare di perdere la focalizzazione per mano della stanchezza, per un calo della motivazione dovuto alla distanza dal risultato da raggiungere ed allora non è solo più questione di dotarsi di obiettivi ma di come restare motivati verso di essi.  In questo caso, un Coach ha pure il compito di affiancare il proprio cliente e sostenerlo incoraggiandolo e mantenendolo motivato e focalizzato sugli obiettivi condivisi. Naturalmente ci sono anche delle tecniche che possono essere utilizzate per agevolare o rafforzare questo processo: per esempio “ancorando” il cliente ai propri obiettivi attraverso oggetti che rappresentino il risultato da raggiungere; se metaforicamente parlando, la Ferrari fosse l’icona rappresentativa del tenore di vita-obiettivo del cliente, tenere in tasca una copia della chiave di questa macchina permetterebbe uno stimolo sensoriale potente e motivante, ogni qual volta questi la osservasse nella sua mano.

La percezione sensoriale ha infatti il potere di facilitare l’elaborazione di un obiettivo in quanto ci permette di rappresentarlo in modo più concreto di quanto non faccia l’immaginazione: ecco perché davanti ad una vetrina, vedendo un bell’oggetto che colpisce i nostri gusti, siamo in grado di determinarci a dire “lo voglio”, esprimendo perentoriamente ed inconsapevolmente la volontà di raggiungere un obiettivo molto specifico che però non ci comporta lo sforzo di individuarlo e qualificarlo.

In tutti gli altri casi però, quando si tratta di affrontare i principali temi della vita, del tipo “cosa vorrei fare da grande”, occorre affrontare l’argomento con metodo e consapevolezza delle possibili conseguenze che possono scaturire da una scelta ben fatta o meno.

Dopo tutto, la vita è bella anche perché non tutto ciò che offre lo espone in vetrina..

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