Nel mondo dello sport, nella misura in cui gli antagonisti contrapposti nella competizione variano, assistiamo a una varietà di dinamiche di interazione assai differenti: agli opposti estremi si parte da un’assoluta reciproca antipatia, fino a raggiungere l’omologo opposto in cui gli atleti si scambiano rispetto e reciproca ammirazione.
Un esempio recente è quello tra Marc Marquez, indiscusso astro nascente del Motomondiale, e Valentino Rossi, leggenda vivente ancora capace di rinnovarsi in motivazioni e performance, alimentando un mito mediatico planetario senza precedenti.
Eppure esimi critici dello sport, autorevoli giornalisti del motor sport e non solo, hanno più volte annunciato la fine di un’era (di Valentino) e l’inizio di un’altra (di Marc), accennando a inevitabili tramonti, epocali passaggi di testimoni, strombazzando il cambiamento radicale e incontrovertibile in favore dell’avvento di un giovane talentuoso capace di sgretolare record su record a colpi di acceleratore, con uno stile che sfida anche le più elementari regole di fisica. Vero, ma solo in parte. Infatti la “living legend” di Rossi, dopo aver pagato la scelta di una moto biologicamente incompatibile (Ducati) che lo ha costretto a un digiuno di gloria senza precedenti, anzi surreale, una volta capito lo sbaglio e tornato al vecchio amore, ha cominciato il suo progetto di rinascita con una stagione in cui la progressione di crescita è stata evidente. Ha cambiato ancora una volta stile di guida, si è adeguato alle nuove qualifiche, ha imparato a partire come i più giovani che sfruttano il primo giro al limite delle possibilità del mezzo. E ha ricominciato a vincere, a dare spettacolo e a riaccendere l’entusiasmo di qualche milione di fan. Il suo antagonista, Marc Marquez è cresciuto nel suo mito (di Valentino) al punto di emularlo non solo in talento ma anche in umiltà e simpatia, con grande naturalezza, senza mai sembrare in panni che non fossero i suoi, a proprio agio in ogni situazione. Due generazioni di Campioni purosangue che si contendono la sottile striscia temporale che si sovrappone tra le due epoche che rappresentano rispettivamente.
Tutti li confrontano con improbabili statistiche, pronosticando cose ovvie e cose assurde, come se potessero istigare i contendenti ad uno scontro fisico, quasi barbaro, per l’affermazione assoluta sull’acerrimo nemico.
Così, contro ogni pronostico, istigazione a delinquere (in pista) e ogni ragionevole protocollo di riservatezza in campo industriale/aziendale, Valentino invita Marquez a casa sua, per trascorrere una giornata di allegre derapate nella famosa pista sterrata del suo Ranch. Inutile chiedersi se il campione ispanico avesse accettato: l’evento è già entrato nella leggenda.
Poi c’è stato il Gran Premio di Sepang, dove Valentino, dopo due fantastiche vittorie, ha dovuto accontentarsi del secondo posto in favore del suo molto più giovane amico. Le foto dei festeggiamenti sono eloquenti ma in questo blog il mio scopo è fornire interpretazioni sui modelli comportamentali, degni di rilievo. Pertanto la domanda è: perché due antagonisti di proporzioni bibliche come loro riescono a restare così sereni nella sconfitta, fino a condividere la gioia della vittoria dell’altro?
Risposta: perché sanno di non dover dimostrare niente a nessuno; sanno di essere ciò che sono e nulla potrà mai insinuare loro il dubbio; perché Marquez è consapevole di essere il nuovo Rossi quanto Valentino è consapevole di avere ancora dei margini per poter ancora competere per il gradino più alto del podio. Entrambi corrono ogni gara come se fosse l’ultima, perché i vincenti hanno una sola modalità di gioco, un solo modo di pensare, un solo obiettivo: vincere o vendere cara la pelle. I questo sono uguali e se non si conoscessero così bene saprebbero riconoscersi dall’odore. Sono Campioni in termini di performance quanto in termini di fair play: una qualità che, anche nello sport, si vede sempre più raramente. E allora godiamoci questimomenti irripetibili.
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