[:it]Cos’è che permette a un’atleta di esprimere una performance apparentemente impossibile?

Il mondo dello sport è ricco di storie straordinarie che raccontano imprese miracolose e inconcepibili, che hanno lasciato una traccia indelebile nella memoria e nel cuore di tante persone: emozioni profonde e intense, propagate da un singolo individuo a una folla sconfinata, colpita dall’eccezionalità di un evento travolgente, unico e irripetibile.

All’origine di tutto, c’è la straordinarietà della natura umana, capace di superare se stessa nel momento in cui una situazione estrema ci spinge ad attingere alle risorse più nascoste di cui disponiamo e di cui non sempre siamo pienamente consapevoli.

È un processo decisionale che nasce dall’inconscio più profondo, attraverso un catalizzatore fatto di convinzioni inaffondabili, valori come la patria, senso di appartenenza alla squadra, fede nello spirito di sacrificio..per lasciare affiorare tutto, fino alla più completa consapevolezza della scelta da mettere in atto, con lucidità e determinazione ben calibrate da un senso di responsabilità perfettamente presente a se stesso.

A dirla tutta, un’attenuante ci sarebbe, costituita dal fatto che affrontare un’impresa con una menomazione giustificherebbe ampiamente un insuccesso, o quanto meno non potrebbe mai generare aspettative eccessive da parte del pubblico, anche il più esigente: vincere sarebbe un successo clamoroso ma il solo tentare verrebbe già salutato e riconosciuto con onore, a prescindere dal risultato.  Per dirla in gergo aziendale, una situazione “win-win”.

Tuttavia, non è così che funziona la testa di un’atleta vincente: nel suo mondo il podio ha un solo gradino e non ci sono parametri con cui confrontarsi se non se stessi, perché la molla che fa accadere l’impossibile non è battere gli altri ma i propri limiti attraverso un’interminabile ricerca dell’eccellenza. Vincere è solo la naturale, inevitabile conseguenza  di tutto ciò.

Ecco allora che la menomazione o lo svantaggio determinato da una qualsiasi circostanza, diventa un potentissimo stimolatore del proprio ego: una rara e quanto mai preziosa opportunità per chiamare a raccolta ogni molecola, atomo e neutrone della propria essenza psicofisica, affinché l’impossibile si trasformi in un trionfo evidente, clamoroso, memorabile.

Questo per dire che certe imprese si preparano con anni di sacrificio in palestra ma poi nascono sempre dalla testa e dal cuore.  Per questo, quando facciamo praticare uno sport ai nostri giovani, dobbiamo cibarli di valori e prenderci cura della mente almeno quanto dell corpo.

E per finire, allego un articolo che narra una delle tante favole dello sport a lieto fine, che bene rappresenta i concetti appena illustrati, tenendo ben presente che di fiabesco c’è solamente lo spirito narrativo, mentre i fatti sono assolutamente veri.

Il miracolo “a una gamba” di Kerri Strug

Ad Atlanta 1996 la ginnasta americana rimedia un grave infortunio alla caviglia sinistra, ma esegue comunque il suo ultimi salto al volteggio e regala così il primo storico oro a squadre agli Stati Uniti, commuovendo tutto il pubblico

La Strug non era la ginnasta più talentuosa nelle “Magnifiche 7” del team Usa, ma nel momento decisivo furono la sua grinta e il suo coraggio a contenere la rimonta russa. La squadra americana arriva infatti all’ultima rotazione al volteggio con un vantaggio piuttosto rassicurante di 9 decimi di punto sulle rivali, sapendo quindi che solo un errore grave potrebbe ribaltare la classifica.

Ma l’emozione gioca brutti scherzi: Dominique Munceanu, la più giovane della squadra, finisce per terra nei suoi due volteggi e dunque la pressione passa tutta sulla Strug, l’ultima ginnasta a saltare. Gli Stati Uniti hanno bisogno del suo salto e l’arena di Atlanta rimbomba di passione: Kerri però sbaglia la sua prima esecuzione e si infortuna chiaramente a una caviglia…

È un momento di panico, per tutto il pubblico e per la ginnasta stessa, che avrebbe la possibilità di saltare un’altra volta, ma è chiaramente dolorante: “Abbiamo bisogno del secondo salto?“, chiede la Strug al suo allenatore riferendosi alla sfida a distanza con la Russia e Bela Karolyi (che era stato in precedenza anche il tecnico della Comaneci) le risponde: “Kerri, devi saltare un’altra volta. Ancora una volta sola per la medaglia d’oro: so che puoi farcela“.

La Strug zoppicando si prepara per il secondo salto, la tensione ormai è alle stelle… Rincorsa di adrenalina pura, Yurchenko con un avvitamento e mezzo terminato con un arrivo su una gamba sola.

Il pubblico di Atlanta esplode, il 9.712 al volteggio della Strug vale l’oro, una medaglia che Kerri riceverà sul podio in braccio al suo allenatore a causa di quella che poi si rivelerà una distorsione di terzo grado alla caviglia sinistra con lesione del tendine e le impedirà di proseguire nelle successive gare olimpiche.

Ma non importa, perché Kerri Strug con quel salto “zoppo” al volteggio diventerà una delle icone della ginnastica statunitense e non solo, il simbolo della volontà e del coraggio che possono portare una ragazza di 19 anni a superare i propri limiti fisici per ottenere un trionfo senza precedenti.

(Tratto da un articolo di Luca Stacul)

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