[:it]Durante una risalita in seggiovia (in una nota località sciistica) mi sono ritrovato seduto accanto a tre giovani atleti dello sci, diciamo sui 15-16 anni: uno di questi, abbigliato come un vero campione dello slalom, gustava una sigaretta declamando le sue prodezze quotidiane per eludere i controlli dei genitori.
Certamente vedere fumare un ragazzo o una ragazza non è un evento eccezionale ma per un atleta è diverso: alla base c’è l’obiettivo della prestazione attraverso tutto ciò che di lecito possa favorirne l’eccellenza…ovvero all’antitesi di fumo, alcol e qualsiasi altra sostanza possa inficiare la liberazione del potenziale psico-fisico di un individuo.
Osservare un atleta che fuma, soprattutto durante un allenamento, equivale all’immagine di una Formula 1 senza le ruote, appoggiata su quattro mattoni: l’incongruenza è massima e l’etica non c’entra. Per compiere qualsiasi sforzo o movimento il corpo ha bisogno di ossigeno e la nicotina ha la diabolica capacità di ingannare e legarsi all’emoglobina impedendole di trasportare all’organismo il passeggero che dovrebbe innescare il processo energetico di cui il corpo ha tanto bisogno. Per questo motivo, a prescindere dalle capacità oggettive di un atleta, quand’anche questo fosse fortissimo, il fumo ne intaccherebbe inevitabilmente il rendimento sportivo.
Pertanto la sigaretta per un praticante dello sport, rappresenta un’esplicita dichiarazione di scarso impegno a tutto tondo. Probabilmente alcuni giovani non hanno ancora sviluppato del tutto un senso d’identità legato al ruolo sportivo che hanno: diranno “io faccio le gare di sci” anziché “ io sono un atleta che pratica lo sci a livello agonistico”.. Questo dimostra quanto sia importante seguire la sfera emotiva e cognitiva dei giovani sportivi, per accompagnarli nello sviluppo delle proprie ambizioni attraverso la consapevolezza dei comportamenti necessari a raggiungerle.
Lo sport agonistico è fatto anche di sacrifici e delusioni ma attraverso questi elementi paradossalmente si raggiunge un successo capace di estendersi fino a ogni ambito della propria vita: rinunciare al vezzo del fumo per apparire più grandi, oppure tornare a casa sobri e in orari decenti mentre alcuni coetanei sono ancora in discoteca a consumare il terzo Mohito, sono rinunce banali di fronte al successo di una gara in cui si è dato sfoggio della propria superiorità agonistica. I veri atleti si nutrono della propria adrenalina, non certo della nicotina degli altri.
Per questa ragione, mi ha dato altrettanto fastidio vedere una collega Maestra di Sci che si fumava la sua bella sigaretta mentre aspettava l’arrivo dei suoi piccoli allievi. I bambini, come noto, sono portati a emulare i propri eroi: che siano il Re Leone o il proprio Maestro di Sci, poco importa: essi ci vedono come un modello da raggiungere e cercano di imitarci nel tentativo di sentirsi come noi. Fumare una sigaretta, per di più all’aria aperta non è certo un delitto (se non per se stessi): quello che lo fa diventare tale è l’immagine della divisa (in questo caso del Maestro di Sci) nel momento in cui la leghiamo a un comportamento negativo recepibile (non come tale) dai più giovani.
Un professionista dello sport non fuma, non bestemmia, non manifesta alcun atto lesivo per l’educazione dei suoi allievi. In un’epoca in cui “l’importante non è vincere ma stravincere”, si rende ancora più necessario dare agli atleti dei valori in cui credere e per i quali sostenere quei sacrifici così indispensabili per il raggiungimento dell’eccellenza.
Non ultimo, lo sport è salute e si diffonde attraverso l’immagine congruente di chi lo pratica. Un vero sportivo lascia che a fumare siano sempre gli altri: per invidia, ovviamente.[:]
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