Lavorando con atleti di varia età e sport praticati, ho notato una comune modalità di linguaggio interiore: tutti si ripetevano cosa non fare o cosa evitare con frasi del tipo “non devo fare un’altra brutta figura”…”non devo perdere”…”non devo cadere”, etc..
Da un punto di vista neurolinguistico, questo tipo di focalizzazione è caratteristico di un approccio (verso se stessi e gli altri) negativo e controproducente, in quanto porta ad allontanarsi da qualcosa di sgradevole anziché spingersi verso qualcosa di piacevole, con una dialettica che più di privilegiare l’azione “propositiva” evoca la fuga, o il contenimento dei danni collaterali (in quanto augurarsi di non fare un’altra brutta figura non implica necessariamente il contrario, tanto che abbiamo coniato la cosiddetta “prestazione incolore”..). Inoltre, la parola “devo” presuppone la presenza di una auto-imposizione e non di una volontà tipica del desiderare fortemente qualcosa: dire “devo studiare” anziché “voglio studiare”, evidenzia l’impegno in un’attività non desiderata, uno sforzo dedicato a soddisfare più l’esigenza di altri (per esempio i genitori) che la propria. Lo sport agonistico, a meno che non sia stato (malauguratamente) imposto ai figli dai propri genitori, è l’espressione di un profondo desiderio di eccellere attraverso un continuo confrontarsi, con se stessi e con gli altri: è voglia di crescere, migliorarsi e sacrificarsi con passione per il raggiungimento di precisi obiettivi che siano la materializzazione di un’ambizione raggiunta (con il conseguente senso di soddisfazione).
A questo punto verrebbe da pensare che un linguaggio interiore negativo possa essere caratteristico di condizionamenti familiari ma fortunatamente, in molti casi non è così. Si tratta spesso di “programmi difettosi” di cui siamo dotati in origine: per questa ragione siamo più portati a dire “sicuramente le prossime vacanze non le trascorrerò in montagna”, anziché “stavolta voglio proprio andare al mare”.. Siamo fatti così, ci esprimiamo inconsapevolmente così e altrettanto inconsapevolmente condizioniamo i nostri comportamenti attraverso le cose che pronunciamo, ad alta voce o dentro di noi.
Conoscere questo piccolo “bug” e “riprogrammare” il nostro linguaggio in modo diverso, è possibile e può senz’altro fare la differenza.
Imparare a prestare attenzione al linguaggio che utilizziamo quotidianamente ed esercitarsi a “ricondizionarlo in positivo” è un esercizio che potreste scoprire divertente.
Allora, “non chiudere la porta” diventerà “lascia la porta aperta”, mentre nel linguaggio sportivo anziché dire “non ti devi difendere” diremo “devi attaccare!”.. Al pronunciare “non devo essere teso”, sostituiremo un bombardamento di positività con “devo essere rilassato, sereno, più sciolto, in pace con me stesso: questo mi fa sentire calmo, lucido e pronto per dare il massimo”..
Educarsi a questo tipo di linguaggio ha implicazioni molto più potenti di quanto si possa immaginare: è un’auto induzione a cambiare mentalità, modo di pensare e approccio alla vita…un modello esportabile in qualsiasi contesto e circostanza che garantisce risultati che sembravano impossibili.
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