Valentino Rossi oggi dovrebbe decidere il suo possibile rientro al Gran Premio di Germania che si correrà domenica prossima, a poco più di un mese dal terribile incidente in cui si procurò la frattura esposta di tibia e perone. A prescindere dal fatto che rientri a correre proprio questo gran premio oppure il prossimo, la cosa evidenzia due aspetti:
1) il primo la dice lunga sui progressi della medicina e della chirurgia ortopedica in particolare; stiamo parlando di una gamba spezzata, le cui ossa sono addirittura fuoriuscite dalla carne e dalla pelle; una frattura scomposta ed esposta, sistemata con viti al titanio come una volta si sarebbe rappresentato in un film di fantascienza, fatto di androidi–replicanti. Chi non ha visto le foto del suo recente test alla pista di Misano, sappia che parliamo di un ragazzo che si è presentato davanti alla moto-razzo in tuta “spaziale” e stampelle ortopediche: una scena surreale per l’incongruenza dell’insieme; sembrava più una delle sue solite pantomime che una cosa vera.
2) e restando in tema di androidi, per chi lo ha visto, Valentino ricorda le qualità del personaggio-androide “Sonny” del film “I-Robot”: un androide molto diverso da tutti i suoi simili perché oltre alle qualità fisiche sovraumane, tipiche della sua specie, era stato anche dotato della capacità di provare emozioni, tanto che Valentino ha capacità di concentrazione e calcolo che sono paragonabili alla freddezza di un killer, se non fosse per quanto cuore mette in tutto ciò che fa.
Per chi conosce bene gli sport “pericolosi” praticati ad alti livelli, è noto che a parità di gravità di un incidente da cui si può guarire i traumi migliori siano quelli cranici…perché il cervello a un certo punto “stacca la spina” e l’atleta non ricorda l’accaduto, tanto meno la sua dinamica. Questo caratteristico tipo di amnesia, è il meccanismo celebrale che ha permesso a tanti piloti di tornare in pista dopo incidenti a dir poco terribili quanto spettacolari.
Nel caso del pilota di Tavullia questo non vale: il pilota della Yamaha ha vissuto ogni istante della sua drammatica caduta, rimanendo lucido dalla perdita del controllo della sua moto fino al trasporto in ospedale. In questo caso, per tornare in sella ci vogliono solo gli “attributi”, possibilmente grossi e quadrati. Lui li ha.
Ma forse non è solo questo.
I grandi campioni, quelli come lui, dal talento assoluto e che hanno vinto tutto, a un certo punto rischiano di maturare una certa fragilità motivazionale.
Valentino è il migliore perché ha voluto ed ha saputo esserlo: ha avuto lo stimolo di vincere il mondiale nella classe 125, poi 250, poi 500; poi lo stimolo di vincere nella nuova classe Moto Gp; poi lo stimolo di battere rivali forti e sempre diversi; poi lo stimolo di vincere con una moto perdente (passando da Honda a Yamaha). Ma quello che lo rende ancora più forte è che il primo parametro contro il quale migliorarsi è sempre stato se stesso: la sua passione per esplorare e scoprire i propri limiti (suoi e della sua moto) è sempre stato lo strumento principale per andare oltre, per crescere e migliorarsi a prescindere dai progressi degli altri.
Per questo, oggi, sono convinto che questo fenomeno della natura motociclistica abbia trovato un ennesimo stimolo proprio nell’affrontare se stesso nelle condizioni cliniche in cui si trova, interpretando la menomazione fisica come un’opportunità di vivere un’esperienza che gli permetterà di conoscere ulteriori aspetti del suo incredibile potenziale umano, trasformando uno svantaggio temporaneo in un vantaggio permanente. Sarei pronto a giurare che sia così, perché conosco bene il modo di pensare dei vincenti: mentre tutti lo contrappongono allo strapotere del suo attuale rivale e si chiedono cosa accadrà, lui totalmente dissociato dal contesto che lo attende, lavora su se stesso non per battere qualcuno ma semplicemente per continuare ad esprimere il meglio di se stesso. Vincere, in fondo, sarà solo la naturale conseguenza di tutto questo.
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