Quante volte abbiamo detto a qualcuno “tu non mi hai capito” solo perché la risposta disattendeva le nostre aspettative? Quante volte pensavamo di essere stati chiari, salvo venire smentiti dai fatti? Non sono rari  diverbi del tipo: A: “ti avevo detto che DOVEVI portare fuori il cane!”… B: “no, tu avevi detto DOVRESTI portare fuori il cane, il che significa che non era strettamente necessario” A: “se non fosse stato strettamente necessario ti pare che te lo avrei chiesto?” B: “veramente tu non hai fatto nessuna richiesta ma eventualmente una considerazione” A: “mi pare evidente che la mia considerazione in realtà fosse una richiesta” B: “sembrerà evidente a te, che te la canti e te la suoni..” Nel frattempo il cane ha fatto la pipì in casa.. Tutto questo per dire che a volte, ciò che diciamo, non ha necessariamente lo stesso significato per chi ci ascolta: il fatto che per noi sia cristallino non vuol dire che lo sia per gli altri. Dalle mie parti, una cosa che abbia un certo spessore, si dice che è ERTA: per una vita sono stato convinto che ERTA fosse stato un vocabolo italiano fino a quando una collega milanese mi ha contraddetto con ironia; ricordo perfino che la sfidai a dimostrarmelo e non ci fu nulla di più spietato del vocabolario italiano a dimostrarmelo. Ma aneddoti a parte e dialetti pure, anche utilizzando la stessa lingua non vuol dire che si stia utilizzando lo stesso linguaggio: alcune persone per esempio, si esprimono inconsapevolmente con tono saccente, indisponendo il proprio interlocutore a prescindere dal contenuto del discorso, fino a distoglierne l’attenzione. Per questo motivo, se l’obbiettivo è avere comprensione per ciò che si dice, diventa fondamentale capire il linguaggio della controparte e cercare di sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda. In questo caso, per comprendere come il messaggio sia stato recepito, basterà osservare la reazione che avrà determinato, o ascoltare la risposta: insomma, per dirla con un termine tecnico, sarà sufficiente analizzare il feedback, ovvero ciò che il messaggio avrà determinato/provocato in chi lo ha ricevuto. Ricordo che un italiano in un ristorante austriaco, tentò di ordinare degli spaghetti al dente gesticolando al cameriere: per feedback  ebbe un piatto con un’enorme lingua di manzo.. Poi ci sono  casi opposti, come alcune madri che capiscono il proprio figlio con un semplice sguardo; si tratta di feeling ma anche della capacità di saper cogliere quello che esula dal linguaggio convenzionale..un’espressione del viso, un sospiro, un tic motorio, una particolare postura e lei dirà.. “so già cosa stai per dire: che anche stasera non tornerai a cena!”…. Questo ci dice che il linguaggio si compone di parole tanto quanto di gesti o di silenzi: per essere più precisi, diremo che la comunicazione si esprime in modo verbale,  ovvero con le parole; in modo paraverbale, con la qualità della voce (tono, volume, timbro, velocità..) e non verbale, con l’atteggiamento del corpo (tra cui consideriamo la postura, il colorito della pelle, il ritmo respiratorio, la gestualità). Pochi immaginano che la comunicazione si esprima maggiormente in modo non verbale e paraverbale di quanto non faccia la componente verbale: forse anche per questo tra le frasi che tutti avremo sentito almeno una volta, c’è il “non ti ho creduto per come me lo hai detto…e poi, ce lo avevi scritto sulla faccia che mentivi..eri più rosso di un semaforo..” Dopo tutto, come già accennato in post precedenti, comunicare è un’attività assolutamente spontanea e naturale, al punto che non comunicare è praticamente impossibile. Comunicare in modo facilmente comprensibile e congruente con ciò che si pensa, è invece più difficile..ma studiando le caratteristiche di chi ascolta sarà possibile organizzare una modalità di comunicazione più efficace ed efficiente verso qualsiasi interlocutore. Per capire se questo stia avvenendo, basterà ricordare che il significato di una comunicazione è sempre nella risposta (feedback) che si riceve.

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