Molto spesso, quando parliamo, non ci accorgiamo di trovare più naturale esprimerci con frasi “negative”. Per esempio, in risposta ad una domanda semplice del tipo “ma tu cosa vorresti?” ciascuno trova più facile dire “non vorrei più essere ansioso” piuttosto che “desidererei essere sereno”…”non vorrei più sentirmi insicura”, piuttosto che “vorrei sentirmi sicura di me stessa”. Ovviamente, tono della voce, postura, ritmo respiratorio, espressione del viso, sono tutti allineati a rafforzare il tenore pessimistico dell’affermazione. La cosa peggiore è che anche con i nostri figli, ancorché mossi dalle più buone intenzioni,  ci rivolgiamo spesso con un linguaggio negativo. Questo accade soprattutto quando ci raccomandiamo affinché seguano i nostri consigli: finiamo così per dire “non fare tardi” anziché “torna presto”;  “ricordati di non correre” anziché “ cerca di essere prudente”. Ciò che rende importante la differenza tra queste due forme di linguaggio è che quando esprimiamo una frase come “attento a non inciampare”, proiettiamo nella mente di chi ci ascolta proprio l’atto del cadere, influenzando la stessa capacità di azione della persona che abbiamo voluto avvertire. Con i bambini in particolare, poiché questi hanno una spiccata abilità nel visualizzare ciò che diciamo loro, accade proprio che le nostre raccomandazioni (così confezionate) finiscano per rivelarsi dei veri e propri sabotaggi. Quante volte li abbiamo sgridati dicendo: “non ho fatto in tempo a dirtelo che ti sei rovesciato la minestra addosso!”. Esatto: i tempi tra gli avvertimenti e gli accadimenti confermano questo fenomeno. Naturalmente il principio vale in ogni campo, incluso l’insegnamento, per cui piuttosto che dire “non si fa così”, sforziamoci di spiegare come si fa. Poniamo di trovarci in macchina al posto del navigatore con il pilota che guida a 200 all’ora: poniamo di avvicinarci ad un bivio talmente rapidamente da sembrare che ci piombi addosso; e poniamo che la diramazione destra sia ostacolata da un muro di cemento ben segnalato sulla nostra mappa. Bene, se esclamassimo “non girare a destra!!” , costringeremmo il pilota in un primo momento a realizzare l’atto del girare a destra che non va fatto ed in un secondo momento , come conseguenza, a dedurre di girare a sinistra.  Non è escluso che la persona al volante non avrebbe il tempo di elaborare, e seguendo l’immagine di ciò che non andava fatto si sarebbe schiantato sul muro. Sicuramente sarebbe stato più efficace e meno rischioso urlare “gira a sinistra!” Ma noi siamo fatti così: la fidanzata insoddisfatta, rivolgendosi al suo fidanzato gli dice frasi del tipo “tu non mi ami abbastanza, non sei mai puntuale, non mi regali fiori, non mi porti a cena quasi mai”: eppure un discorso del tipo “vorrei che mi amassi di più, che fossi puntuale ai nostri appuntamenti, che mi regalassi dei fiori e mi portassi più spesso fuori a cena” avrebbe più il suono del desiderio  che del conflitto e del rimprovero; l’interlocutore sarebbe portato a visualizzare la propria persona che arriva puntuale con un mazzo di fiori piuttosto che un uomo incapace di corteggiare la propria donna. Per questo motivo, allenarsi ed educarsi a pensare e declinare la propria comunicazione “in positivo”, non solo ci farebbe apparire più gradevoli e comprensibili ma renderebbe gli altri più collaborativi e ben disposti nei nostri confronti: è la stessa influenza che avrebbe su di noi un giorno di sole rispetto ad un giorno di pioggia, con la differenza che in questo caso, se lo volessimo, il bel tempo dipenderebbe soltanto da noi.

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