Molto spesso, quando parliamo, non ci accorgiamo di trovare più naturale esprimerci con frasi “negative”. Per esempio, in risposta ad una domanda semplice del tipo “ma tu cosa vorresti?” ciascuno trova più facile dire “non vorrei più essere ansioso” piuttosto che “desidererei essere sereno”…”non vorrei più sentirmi insicura”, piuttosto che “vorrei sentirmi sicura di me stessa”. Ovviamente, tono della voce, postura, ritmo respiratorio, espressione del viso, sono tutti allineati a rafforzare il tenore pessimistico dell’affermazione. La cosa peggiore è che anche con i nostri figli, ancorché mossi dalle più buone intenzioni, ci rivolgiamo spesso con un linguaggio negativo. Questo accade soprattutto quando ci raccomandiamo affinché seguano i nostri consigli: finiamo così per dire “non fare tardi” anziché “torna presto”; “ricordati di non correre” anziché “ cerca di essere prudente”. Ciò che rende importante la differenza tra queste due forme di linguaggio è che quando esprimiamo una frase come “attento a non inciampare”, proiettiamo nella mente di chi ci ascolta proprio l’atto del cadere, influenzando la stessa capacità di azione della persona che abbiamo voluto avvertire. Con i bambini in particolare, poiché questi hanno una spiccata abilità nel visualizzare ciò che diciamo loro, accade proprio che le nostre raccomandazioni (così confezionate) finiscano per rivelarsi dei veri e propri sabotaggi. Continue reading